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Manuale•Non sa/non risponde•Recensioni•Uncategorized

Devo dire la mia

10 Marzo 2021 by Silvia T. Nessun commento

Questo non è un articolo politico ma di buonsenso.

Io capisco che vadano fatte delle scelte e poste delle restrizioni perché la gente non continui ad ammalarsi e a morire. E’ arrivato così il tempo del lockdown e poi i DPCM e poi ancora i colori. E non so come, siamo scivolati, infine, nelle sfumature.

Ammetto di aver avuto difficoltà a comprendere, nel periodo natalizio, dove potevo andare e quando. Ho sempre rispettato tutte le regole; non sono mai uscita durante il lockdown o fuori dagli orari previsti, sono stata in isolamento fiduciario a Capodanno perché ero venuta in contatto con un positivo, ora esco solo per andare a lavoro o per comprare qualcosa che mi serve. Tutto sempre con la mia bella mascherina che mi toglie il fiato (ho un problema di setto nasale deviato e questo mi fa respirare male). Io l’ho fatto, altri no.

E ora dovete permettermi di dire la mia, tanto la dirò lo stesso. La foto che vedete nell’articolo (scusate la bruttezza ma io non fotografo, scrivo di solito) è stata scattata mercoledì 10 marzo alle ore 8.45 all’uscita della linea rossa. Ma se andaste lunedì o martedì o giovedì, la situazione sarebbe la stessa. E, come potete vedere anche voi, è inaccettabile.

Le persone sedute sono distanziate dagli ormai tristemente famosi bollini “Non sederti qui” ma tutto il resto delle persone è ammassato. Non sono riuscita a scattare una foto all’interno perché avreste visto solo cappotti e giacconi tanto che erano vicine le persone intorno a me.

Ed è così che mi reco in ufficio ogni mattina ed è così che torno a casa ogni sera, dove resto dopo una lunga e stressante giornata di lavoro perché non posso andare da nessuna parte. Perché c’è il Covid e la gente sta male; lo so benissimo, probabilmente ce l’ho avuto anch’io durante la prima ondata, quando non erano ancora disponibili i tamponi. Non ho avuto bisogno di essere ricoverata ma vi assicuro che la sensazione di malessere fisico e di spossatezza che ho avuto mi ha fatto sentire come uno zombie per settimane.

Quindi non è un discorso da negazionista o da complottista (n.d.r. la Terra non è piatta) ma da persona che ragiona.

Ormai è un anno che questa pandemia è in corso e io non sono stata mai fermata a un tornello o altrove in metropolitana tranne che per il classico controllo del biglietto. Ho lavorato per tutto il tempo e nessuno mi ha mai controllata. E, ai tempi del primo lockdown, devo ammettere, le metro erano così vuote che non ce ne sarebbe stato bisogno.

Ma ora si ventila di nuovo l’ipotesi dei weekend “in rosso” e io mi domando: è una presa in giro? Per quelli che come me che prendono i mezzi pubblici, i treni, che lavorano ogni giorno perché non hanno lo smart working (ebbene sì, non sono tutti in smart working!), sembra davvero che sia così.

Non sarebbero meglio dei controlli per verificare distanziamento, igiene, rispetto degli orari e dell’obbligo d’indossare la mascherina costanti invece di bloccare tutto (economia compresa) due giorni a settimana per chissà quanto? E’ come mettere un cerottino su uno squarcio per cui ci vorrebbero dei punti.

Non mi sembra un’idea da premio Nobel eppure non ci arriviamo o non vogliamo arrivarci.

Scusate se utilizzo questo pulpito ma ritengo che, forse, le persone come me, che hanno la possibilità di esprimere delle opinioni senza urlare e insultare sui social, debbano stimolare una riflessione costruttiva. E’ l’unico modo per avere potere.

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La solitudine dei numeri dispari

Io, olio su tela. Anni trentanove
7 Febbraio 2021 by Silvia T. Nessun commento

Compleanno numero trentanove. Un bel numerone dispari, come piace a me. Perché? Non ne ho idea. E’ un mistero, come il fatto che mi piaccia tutto quello che contiene l’albicocca ma non il frutto. E’ così.

In generale, ho sempre avuto più simpatia per i numeri dispari perché… io sono un numero dispari. Lo sono sempre stata e la solitudine del titolo non è una cosa negativa. E’ così. Non sono fatta per essere divisibile per due.

Ora la prossima domanda è: chi è così egocentrico da scrivere un pezzo sul suo compleanno? Io, ovviamente. Ricordate sempre che siamo artisti, vogliamo essere “visti”.

Per fortuna, sono finalmente arrivata a quell’età in cui si capisce tutto della vita, si diventa saggi. E quindi vi parlerò della vita e di come viverla.

Ci avete davvero creduto? Una delle poche cose che ho imparato nella vita è non credere a chi dice di volertela insegnare. La vita è come la scrittura, s’impara ma non s’insegna.

Per questo, oggi, per celebrare i miei favolosi trentanove (sì perché l’età non è solo un numero ma anni, vissuti, sentiti, amati o odiati), ho deciso di prendere in prestito qualche citazione da persone che ammiro e da cui ho imparato qualcosa.

Partirò con una delle mie preferite in assoluto:

“Sei il narratore della tua vita e puoi creare la tua leggenda, oppure no” (Isabelle Allende)

Trentanove anni li ho vissuti così, sono sempre stata la narratrice della mia storia. E, nel mio prossimo libro, sarò la vera e propria voce narrante della mia storia. Chi può chiedere di meglio? A volte la mia narrazione è stata vacillante, sofferta e un po’ sgangherata… creare una leggenda non è così facile! Io però ce la metto tutta e chissà, magari tra altri trentanove anni, sarò una leggenda! In qualunque modo vogliate intenderla.

“Per diventare libero, cambiare, cambiare” (Cambiare, Alex Baroni)

Il cambiamento, per me, è sempre stato fondamentale. Io sono cambiata tante volte ma, soprattutto, ho cambiato. Il mio modo di vedere le cose, il mondo. Ho sempre messo in discussione ogni cosa che non mi convinceva. Ed erano poche le cose che mi convincevano fino in fondo. Alcune, alla fine, le ho accettate. Su tutte le altre mi sono fatta un’opinione mia. Questo mi ha fatto “diventare libera, cambiare” come diceva Alex Baroni nella canzone.

“Una caduta  dal terzo piano è dannosa quanto una dal centesimo. Se proprio dovrò cadere, che sia da un punto molto alto.” (Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto, Paulo Coehlo)

In questi trentanove anni sono caduta da piani molto più bassi del terzo, a volte perfino da ferma in un punto (questa magari ve la racconterò un giorno, fa ridere!) e mi sono fatta un male pazzesco. Ma ha ragione Coelho, che senso ha proteggersi sempre con tanta cautela? Cadrete, non potrete evitarlo. E vi farete male. E allora pensate in grande, sognate in grande, sentite in grande. Cadete da più in alto. Non è vero che le dimensioni non contano, soprattutto se si tratta della vostra vita. Qualcuno ha tentato di dissuadermi dal vivere sempre di pancia ma… beh non ci sono riusciti. Come tutto il resto, ci ho pensato e mi sono fatta un’idea sulla cosa. E questo è quanto.

“Isn’t ironic, don’t you think?” (Alanis Morrisette, Ironic)

C’è bisogno di spiegarla? Forse una delle cose più fighe che ho imparato è vedere l’ironia nella vita, nel mondo. Come andavo predicando quando pubblicizzavo “Un momento di chiarezza”, la vita è una bilancia perfetta tra la sofferenza e l’ironia. Non ci credete? Ci sta, potrebbe non essere vero ma vuoi mettere pensare “non è ironico, non credi?” di una cosa brutta e farvi una risata? Io ti ho creduto Alanis e sono contenta di averlo fatto.

“Nun te pijà coller” (Mia nonna, Melito Maria)

Tradotto per Bergamo alta: “Non ti arrabbiare”. La cosa più difficile di tutte da mettere in pratica e mia nonna lo sapeva. Per questo me lo ripeteva spesso.

Venerdì scorso uno di quei pazzi condomini per cui lavoro mi ha urlato dietro (un normale venerdì insomma) e gli ho buttato giù il telefono. Ha richiamato dicendo “che avrebbe telefonato ogni due minuti per tutto quel pomeriggio”, che si sarebbe divertito così.

Nonna, forse anche tu avresti voluto mandarlo a cagare! Ma io, memore di tanto buon consiglio che mi hai dato, ho risposto con moto calma: “E io le attaccherò il telefono in faccia ogni due minuti”. Lui mi ha detto: “Non ci credo che lo farà” e io, con il mio tono placido, gli ho risposto: “Non mi metta alla prova. Tanto io devo stare qui tutto il pomeriggio, non mi costa niente.”

Morale, ha chiamato tre volte con conseguente cornetta attaccata e poi ha smesso. La calma ha vinto, lunga vita alla calma!

Ma questo è solo uno dei tanti esempi. Quando stavo male per amore, quando le cose non andavano come volevo, quando il lavoro andava e veniva. La calma. Quanto è difficile! Non mi riesce sempre. C’è ancora da lavorarci.

Spero che queste belle citazioni abbiano insegnato qualcosa anche a voi, ma restate sintonizzati perché voglio regalarvi qualcos’altro per il mio compleanno: il segreto della vita.

Anzi, lascerò che sia Jack Palance a dirlo a Billy Crystal nel mitico film “Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche”:

Ricordatevi sempre queste cose: niente è come guidare una mandria, la parola è sempre pizza, sembra talco ma non è.

Mazel tov!

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Quando uno scrittore emergente è emerso?

25 Gennaio 2021 by Silvia T. 4 commenti

L’altro giorno, su uno dei tanti gruppi di scrittori e lettori di cui faccio parte, compare questa domanda: “Quando uno scrittore emergente può considerarsi emerso?”

Prima di tutto, onore al merito a chi ha fatto pubblicamente la domanda che ogni scrittore si pone ma mai a voce alta. Noi come tanti piccoli sommergibili a filo d’acqua stiamo lì nell’attesa di mostrarci in tutta la nostra gloria. Ma quando potremmo fare la nostra comparsa con la sicurezza di avere una buona copertura di fuoco che ci protegga?

Proverò a rispondere alla domanda anche se, come abbiamo ormai compreso, non esistono formule matematiche da applicare quando si tratta di creatività e di lavori creativi.

Innanzitutto, parliamo del mercato italiano e non di quello americano che è impostato su altre logiche e su figure diverse e che considera scrivere un vero e proprio mestiere, cosa che invece non accade in Italia.

Io ridurrei a tre i requisiti per salire al trono degli emersi:

  • un contratto con una buona casa editrice o con un agente letterario:
  • un buon numero di copie vendute;
  • un nome riconoscibile.

Un contratto con una buona casa editrice è importante perché ci garantisce continuità nel nostro lavoro. Se alle nostre spalle c’è un marchio editoriale che investe su di noi e ottiene un buon risultato da questo investimento, è normale che la collaborazione non si fermerà a un solo progetto. Saranno disposti a rischiare ancora su di noi, portando il lettore ad avere fiducia nello scrittore e nei suoi successivi lavori.

Il numero di copie vendute. La parte numerica, forse la più veniale ma vendere è un requisito fondamentale per emergere (e anche per restare a galla successivamente). Parliamoci chiaramente; io ho elencato tre requisiti ma, in realtà, le cose sono tutte interconnesse. Trovare un buon editore pronto a metterci la faccia (il marchio) e un buon progetto di promozione ti aiuterà a vendere più copie e a crearti un “nome”. Alla fine, però, la casa editrice guarderà il suo profitto per cui, banalmente, sarà il numero delle copie a decretare un successo o un fallimento. E qui entra in gioco tutta la soggettività di noi poveri scribacchini; magari abbiamo venduto le nostre belle 100-150 copie e siamo superfieri di aver portato a termine una missione impossibile. E poi realizziamo che nel mercato editoriale, quei numeri non vengono neanche considerati. Per una casa editrice, con quelle vendite, non siamo fonte di reddito e non ci faranno un contratto opzionando la nostra seconda opera. Io resto sempre una di voi per cui lo so cosa avete provato quando lo avete capito.

Avere un nome riconoscibile. E qui può essere inteso in molti modi ma l’importante è che, dopo aver pubblicato, non si continui a essere un perfetto sconosciuto. Per ovviare a questo requisito, molte case editrici decidono di puntare su nomi già affermati, anche non nel campo della letteratura e far scrivere loro testi di vario genere. Sul risultato, preferisco non esprimermi.

Prendete tutto quello che vi dico con il beneficio del dubbio, primo perché niente è scritto sulla Bibbia dello scrittore e tutto è fonte di spunti riflessivi su cui spero di confrontarmi con voi e secondo, perché io non sono emersa. Sì, ho tirato la testa fuori dall’acqua come una piccola tartarughina ma non sono riuscita a uscirne completamente.

Quindi rimango lì a nuotare allegramente appena sotto l’acqua, aspettando il momento migliore per uscire. Mmmm… così sembro molto lo squalo!

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Una storia come le altre

13 Gennaio 2021 by Silvia T. Nessun commento

Oggi pubblico un mio vecchio post in cui raccontavo un episodio comune.

Provate a farlo anche voi e vedete cosa succede! É un bell’esercizio.

Sto per raccontarvi la storia dietro al libro, perché c’è sempre una storia a un libro. Per cui, se non v’interessa, potete cambiare canale o fare qualsiasi altra cosa si faccia su Facebook in questi casi. Quello che vedete è uno dei volumetti che le persone di colore cercano di vendervi per strada e questa non è una storia di finto buonismo. Il ragazzo che me l’ha venduto ieri in Duomo, Max (il nome completo è impronunciabile) mi si è avvicinato dicendo che io sembravo una con cui si poteva parlare perché sono “una persona allegra dentro”. E già qui, toppa l’entrata. Io sto già facendo la scenetta di “non compro niente” ma lui comincia a raccontarmi la sua storia. E io, da brava scrittrice, non so resistere a una storia. Mi racconta che viene dal Senegal e che lavora stagionalmente nei cantieri navali e, occasionalmente, fa traslochi. Mi dice che “lui vuole fare qualcosa di onesto” anche se stamattina si è alzato alle 5 per venire da Erba (dove vive) a Milano per vendere i libri. Ha una figlia in Senegal di sei anni e quando lui “trova dei vestiti qui” glieli manda. Mi spiega che lui sarà sempre “gentile con le donne perché non vuole che qualche uomo sia cattivo con sua figlia”. Dice che “Milano è bella, tutta l’Italia è bella!” Un po’ paraculo ma ci sta. Mi chiede se sono sposata e se ho dei figli e io rispondo “neanche da lontano”. Profetizza che nel 2016 mi chiederanno in moglie e resterò incinta. Mi metto una mano sul cuore (e, per la cronaca, faccio fatica a trovarlo!) e, convinta che come medium non avrà mai fortuna, decido di comprargli un libro. Gli spiego con chiarezza che avevo addocchiato in maglioncino carino in saldo che costava 5,99 euro (off topic: anche se scrivi 5,99 sono comunque 6 euro!) e che ci rinuncero’ per comprare uno dei suoi libri. Quello di Mandela, gli dico; in fondo, combatteva anche per quelli come te. Mi dice che gli ho fatto un grande regalo, ora può andare a mangiare. Gli auguro buon appetito e gli chiedo di rimanere onesto perché l’onestà paga, poco ma paga.

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E se conoscessimo già il finale?

27 Dicembre 2020 by Silvia T. 3 commenti

Una domanda che mi sono posta molto spesso a livello personale e come scrittrice é: se conoscessimo già il finale, cambierebbe il percorso?

Se sapessimo che un amore finirà, che litigheremo con il nostro migliore amico e non lo rivedremo mai più o se sapessimo come moriremo e quando, faremmo le cose in modo diverso? O avremmo fatto le cose in modo diverso?

Quando penso a me come scrittrice e come narratore onnisciente, so che i miei personaggi devono compiere un viaggio per arrivare in un punto, anche se so che forse la destinazione non é bella. Ma è il loro percorso e devono farlo, nonostante tutto.

Nella vita é tutto più complicato ovviamente. Non sappiamo cosa accadrà domani ma voglio creare un piccolo artificio letterario: e se lo sapeste? Se aveste la possibilità di conoscere il finale, cosa cambiereste? E, soprattutto, cambiereste qualcosa di ciò che avete fatto? Sarebbe tutto nelle vostre mani, niente più misterioso futuro, niente soprese.

Vorrei che ci rifletteste un attimo e poi magari se voleste condividerlo con me e con gli altri lettori del blog, sarebbe una cosa interessante.

Rifareste tutto quello che avete fatto? E, ovviamente, quale narratore, non posso esimermi dal rispondere (spoilerando anche un po’ il tema del mio prossimo libro o, almeno, la direzione che sembra stia prendendo).

Penso che uno dei miei più grandi successi personali sia poter rispondere sì a questa domanda. Rifarei tutto; ogni viaggio, ogni cazzata, ogni sbronza, ogni lavoro, ogni amore, ogni figuraccia…Tutto.

Potrei dirvi che é perché tutto quello che ho fatto mi ha reso la persona che sono oggi ma non é per questo. Non é che abbia capito tutte queste cose della vita. Rifarei tutto perché la vita é un tentativo. Più di uno sei fortunato e ti vengono concesse delle seconde o terze chance. Io sono una che agisce di pancia alla fine, se sento qualcosa la devo fare. E così ho fatto. Tanti splendidi tentativi.

Gli esseri umani non sono onniscienti come gli scrittori, cadono (e ve l’avranno fatta cinquanta milioni di volte questa metafora!) e si rialzano, in qualche modo, feriti e barcollanti. Quello che nessuno vi dice mai é che cadendo, spesso, ci si fa un male assurdo. Un male che ti spezza dentro.

E allora pensateci un attimo: se sapeste già che ci sarà quel male, agireste diversamente? Se la risposta é sì, non aspettate ancora. Agite diversamente in questo nuovo anno, perché nessuno vi racconterà il futuro. No, neanche Paolo Fox!

Quindi vi restano solo i tentativi. Tentate. Ogni giorno.

Buon anno nuovo a tutti!

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Libertà di parola

1 Dicembre 2020 by Silvia T. Nessun commento

Oggi sia Facebook che Instagram hanno rifiutato di sponsorizzare il mio post “Il processo” perché ho criticato le affermazioni di Feltri sulla stupro di una diciottenne da parte del fondatore di Subito.it.

Mi ritengo non solo offesa ma discriminata perché lui ha potuto esprimere le sue stupide opinioni al mondo mentre a me non è concesso di farlo dal mio blog e dalle mie pagine social.

Questo è lo stato senza libertà di parola (per quelli che come me non sono nessuno!) che abbiamo costruito. Complimenti a noi!

La libertà di parola è morta. Che riposi in pace.

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Il processo

28 Novembre 2020 by Silvia T. Nessun commento

Non ero neanche una ragazzina quando la mia classe venne invitata a visitare il comune e a incontrare il sindaco in carica ai tempi. In quei giorni, accadde il primo e unico stupro (denunciato) del nostro comune di cui io abbia memoria. Era una signora sulla cinquantina e il fatto avvenne nella via parallela a quella in cui vivo attualmente, una sera molto tardi.

Ci sedemmo tutti intorno al grande tavolo, dove i “potenti” della nostra città prendevano le decisioni che contavano. E il sindaco ci parlò di come la comunità stesse vivendo questo terribile crimine. E mi ricordo chiaramente che disse “Ma adesso chiediamoci tutti, che cosa ci faceva una donna da sola per strada a quell’ora?”

Pensavo di non aver capito bene ma quando vidi tutti annuire intorno a me (da tanto sindaco, non potevamo aspettarci una giunta pensante), capii due cose: che dalla politica italiana non mi sarei mai potuta aspettare un ragionamento con un minimo di decenza e che il mondo funziona al contrario. Ma come, lei è stata violentata e la colpa è la sua? A me venne spontaneo domandare: “ma chiediamoci tutti, è questa la domanda da porci?”

Da allora in poi, ho cominciato una personale battaglia contro questo comportamento, il processo alla vittima. Sì avete letto bene. Sembra assurdo, una contraddizione in termini. Ma, di fatto, è questo che facciamo. E ammetto il fallimento; nonostante io abbia cercato di divulgare questo concetto, vedo che non ha attecchito minimamente.

Proprio in concomitanza con la Giornata contro la violenza sulle donne, è arrivata l’ennesima prova della stupidità umana (Einstein, avevi decisamente ragione!). E io sono indignata, sconvolta e incazzata come donna ma prima di tutto come persona. Sì, perché le donne sono persone. E quando dicono no non vuol dire sì. Vuol dire no. Mi sento anche un po’ idiota a scrivere una banalità come questa ma tant’è…

E mi riferisco allo stupro e alla tortura subiti da una diciottenne da parte del fondatore di Facile.it , che non merita l’appellativo di persona. Ma non vorrei soffermarmi solo all’intervento di Feltri in merito alla questione, anche perché ormai il livello intellettivo di Feltri è paragonabile a quello di Angela da Mondello. Vorrei parlare delle persone comuni che si sono scagliate contro la vittima. Perché si sta facendo ancora il processo alla vittima.

Ho letto dei commenti che mi hanno fatto venire voglia di chiudere l’Internet, tutto. Cosa ci faceva li’? Perché era alla festa di un imprenditore? Perché è entrata nella stanza? Una signora chiedeva addirittura ai genitori della ragazza come l’avevano educata per farla diventare una che andava a quelle feste. Un brivido di terrore mi ha attraversato la schiena, quando ho pensato che questa donna potrebbe avere un figlio maschio che sta allevando con queste idee.

Scusate, ancora una volta, sono le domande giuste da porsi? Quindi la logica di questo ragionamento è che le donne devono stare a casa per evitare di essere stuprate?

State protestando per la mancanza di libertà causata della restrizioni anti Covid mentre a una donna si dice dove andare, con chi andare, a che ora e come deve vestirsi. E qui non ci vedete la sottrazione della libertà personale?

Quindi ricapitolando: NO vuol dire NO, la vittima non è il colpevole, nessun atteggiamento, vestito o geolocalizzazione a una certa ora è causa di uno stupro. E basta. Basta. Basta.

N. B. Tutte le maiuscole e le minuscole in questo post sono volute

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Sono un cliché

23 Ottobre 2020 by Silvia T. Nessun commento

Ho passato tutta la vita a cercare di non diventarlo eppure eccomi qui ad ammetterlo: sono un cliché.

Sono una donna adulta di trentotto anni. Non sono sposata, non ho figli e e vivo da sola. Quella che i più (i meno svegli di solito) definiscono una “zitella”. Sono una donna adulta che ha un lavoro che non è una passione e una passione che non è un lavoro. Ho avuto grandi sogni che sono andati via via rimpicciolendosi…

Sono alla ricerca dell’amore? Direi proprio no. Come tutti i cliché, vivo nella paura di soffrire e quindi evito quello che potrebbe provocare dolore. E l’amore mi ha fatto soffrire, troppo. Mica sarò così cretina da rinfilarmici?

Una volta il cliché alla mia età era essere sposata con figli e mutuo ma i tempi cambiano e così anche i cliché e ora il testimone è passato alle donne come me: single (sempre le zitelle di cui sopra), che non bruciano i reggiseni ma che sono coscienti dei loro diritti, sporadicamente bevitrici, che vivono e si mantengono da sole. Vaghiamo tra confusione e silenzio, alla ricerca di qualcosa che ci scuota dal torpore della quotidianità.

Forti, audaci, indipendenti ma comunque un cliché. Non dobbiamo avere bisogno di nessuno, è nello statuto del nuveau cliché, dobbiamo cercare noi stesse ma non dobbiamo trovarci in luoghi troppo assurdi. Dobbiamo essere il nostro corso/libro/lifecoach di autoaiuto.

E da “io” sono già passata a un “noi” generico. Tornerò all’ io narrante e infatti, io mi porto il peso di un altro immenso cliché: la scrittrice fallita. Colei che vive nella bruciante sensazione di aver un talento che non può, non sa e forse non deve neanche utilizzare.

Ma non deve essere tutto negativo, sapete. Ho scoperto che, in fondo, essere un cliché non è così terribile come pensavo. Perché di grazia?

  • Se hai sempre pensato con la tua testa, hai preso le tue decisioni e pagato i tuoi conti, è così importante il risultato finale?
  • Rischiare non ti salva dal diventare un cliché ma ti salva dall’impazzire; come si può vivere nella costante certezza di non aver mai provato a fare niente?
  • Un cliché che sa di esserlo assume un grande potere.

E allora perché ce la stai menando con questo articolo? Me lo sono chiesta anch’io, che credete? Sono un cliché dotato di intelligenza e spirito critico. La risposta è: io ho sempre voluto essere un outsider.

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La morale

5 Ottobre 2020 by Silvia T. Nessun commento

Non mi piace come parola. Non so mai come rispondere quando mi chiedono: “qual è la morale del tuo libro?” Non penso che ci sia nel mio libro. O meglio, se deve esserci una morale è che non c’è, che le persone sono diverse, le esperienze posso essere simili ma mai del tutto uguali e che a volte non abbiamo tutti gli elementi per valutare una situazione anche se pensiamo sia così.

Forse non mi piace il termine “morale” perché implica un giudizio e non mi è mai piaciuto giudicare le persone e… anche i personaggi. Nella mia vita così come nella mia scrittura, ho imparato molto di più cercando di capire che giudicando.

Eppure tutti vogliono sapere se in quello che scrivi che c’è una morale. E’ come se volessero farti dire dove devono cercare, se quello che hanno capito è vero o falso.

La persone si sottovalutano quando leggono (strano perché su tutto il resto spesso si sopravvalutano) perché, spesso, sono io che chiedo a loro in che cosa si riconoscono nel mio libro e le risposte sono sorprendenti. In senso positivo ovviamente.

Questo è un po’ il segreto di ogni bravo scrittore, parlare di te ma non parlare di te, parlare di sé stesso ma non parlare di sé stesso.

Ho sempre pensato a me stessa come qualcuno che racconta delle storie non come una che impartisce delle lezioni di vita. Chi sono io per fare la morale a voi?

Ci sono però tanti esempi in letteratura di persone che scrivevano “manuali di vita” più che storie ed è comprensibile. Una volta gli scrittori erano anche intellettuali, baluardi di cultura e di politica, che potevano permettersi un po’ di ostentata saccenza.

Non credo che gli scrittori attuali possano permettersi d’impartire lezioni sul mondo ma questa è una mia opinione.

Quello che mi piacerebbe però vedere nei lettori, a prescindere da come si pone le scrittore, è un po’ più di spirito critico. E per spirito critico non intendo prenderli a parolacce su un post di Facebook, intendo formulare delle riflessioni di senso su ciò che leggono che non deve essere necessariamente uguale ma neanche simile a quello che lo scrittore vuole trasmettervi.

Insomma, se mi seguite, ormai avrete capito che io sono una che va predicando il ragionamento con la propria testa, nella lettura, nella scrittura e nella vita.

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L’informazione è potere?

14 Settembre 2020 by Silvia T. Nessun commento

Qualche anno fa, avrei risposto sì, senza remore. Ora mi sembra opportuno fare una doverosa postilla alla mia risposta. Ed è questo articolo.

Da che mondo è mondo, l’informazione è sempre stata potere, perché ci permette di conoscere il mondo, di farci un’idea nostra sulle cose, di non farci manipolare da chi ne sa più di noi.

Oggi sento di provenire da un mondo diverso che si è trasformato mentre crescevo, in peggio. Nel mondo da cui vengo io i giornalisti avevano un’etica facile da comprendere: “raccontare la verità”.

Certo, la faziosità c’è sempre stata ma la deriva attuale mi giunge come un fallimento inaspettato della comunicazione.

Oggi viviamo in un mondo dove tutti hanno accesso all’informazione e dove la comunicazione è diventata un lavoro. Questo però non l’ha salvata dal diventare “falsa”.

E tanti saluti all’etica della verità… Oggi il giornalismo è diventato uno squallido teatrino sui social media, dove stagisti sottopagati e “sgrammaticati” rincorrono notizie diffuse al solo fine di plagiare l’opinione pubblica.

E l’opinione pubblica? Si fa plagiare senza opporre nessuna resistenza, anzi, ben felice di poter ricondivideere e diffondere notizie di cui non c’è prova e non c’è logica. L’opinione personale si sottomette alla politica di “più like hai, meglio sei” e perde ogni valore di fronte alla possibilità di entrare in una maggioranza organizzata e compatta di ignoranza.

Ora la domanda successiva è questa: è meglio non essere informati o essere mal informati? Non saprei proprio dirvi, so che non dovremmo essere costretti a scegliere tra queste due opzioni.

Devo ammettere però che, dopo aver visto qualche intervista a gente comune (non inteso in senso dispregiativo ma come le persone che pupi incontrare per strada o sul pianerottolo la mattina), ho pensato seriamente che sarebbe stato meglio dargli un’informazione, una qualsiasi, che almeno permettesse loro di vivere collocati in questo mondo e di non rispondere con tanta ignoranza a delle domande banali.

Da parte mia, voglio ricordarvi quello che ripeto da sempre: fatevi un’opinione vostra sulle cose, PENSATE CON LA VOSTRA TESTA.

E a voi scrittori voglio dire: scrivete per chi non ha voce perché alcuni ne hanno troppa e non per questo è giusta. Ancora una volta, fidatevi!

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