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Come scrivere del Covid?

30 Maggio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Non scrivendo del Covid. Non vi preoccupate, ora vi spiego.

Mi è capitato di vedere su alcuni gruppi di scrittori e lettori a cui sono iscritta, dei post dove le persone affermano che non leggerebbero mai un libro sul Covid, perché non vorrebbero mai rivivere questo periodo.

Lungi da me dire alle persone cosa leggere ma una cosa che posso fare è parlare agli scrittori: voi dovete scrivere del Coronavirus.

Lo so, il pubblico è sovrano ma, nel tempo, le cose cambieranno. Le persone vorranno leggere di qualcosa che hanno vissuto e i bambini che oggi hanno vissuto chiusi nelle case, inconsapevoli di ciò che stava accadendo fuori, vorranno sapere, conoscere.

Noi siamo sopravvissuti a una pandemia e siamo scrittori. Siamo la memoria delle generazioni future. Non hanno scritto delle guerre perché è triste? Non sono stati pubblicati libri sull’Olocausto perché era deprimente? Non scherziamo, ragazzi. Abbiamo l’opportunità di raccontare un’esperienza umana potente vissuta praticamente da tutto il mondo. Non abbiamo più Calvino, Sepulveda o Shakspeare per scriverne. Ci siamo noi e abbiamo il dovere morale di trasmettere la storia e la Storia.

Abbiamo già parlato di come, nel tempo, gli scrittori abbiano raccontato le epidemie e la malattia. Lo hanno fatto con ingegno, creatività, ognuno in modo diverso (perché come abbiamo già detto, la vera novità sta nel “come” si scrive, non nel “cosa”).

E poi, io credo che non si debba parlare necessariamente solo di dolore e morte quando si scrive del Covid o delle cose brutte in generale.

La vita è un pacchetto completo. Si scrive della morte per scrivere della vita, si scrive del dolore per scrivere della felicità. Siamo parte di una contorta quanto perfetta bilancia in cui tutto si completa. Sarebbe assurdo escluderne una parte. Ci saranno scrittori che ci faranno ridere e distrarre dalla vita reale. Ne abbiamo bisogno. E ci saranno quelli che ci faranno piangere e riflettere. E ne abbiamo bisogno in egual modo.

Non escludo poi che ci saranno scrittori che ci faranno ridere e piangere insieme. Io spero di riuscire a farlo, perché credo che la vita sia così. Come scrive Rilke:

“Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo lontano.“

In definitiva, io vi chiedo di scrivere del Covid senza scrivere del Covid. Cercate punti di vista nuovi, modi di rielaborare questa pandemia come una parte della vita umana. E avremo una testimonianza, la vostra narrazione di questo momento che stiamo vivendo.

Scrivete!

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Solo per oggi

16 Maggio 2020 by Silvia T. 2 commenti

“Volete scrivere un capolavoro e non sapete come fare? Volete mettere alla prova le vostre capacità creative ottenendo grandi risultati? Iscrivetevi subito al nostro corso di scrittura! Solo per oggi, il 50% di sconto!”

Vi è mai capitato di leggere annunci simili? Se la risposta è no, siete fortunati! Io, non so perché, essendo chiaramente per i social un profilo interessato alla scrittura e alla lettura, vengo letteralmente subissata di queste “favolose offerte lampo”!

La pubblicità è pubblicità e deve vendere e su questo non si discute ma, se avete cinque minuti, vi dirò perché questi annunci mi perplimono e non poco.

Innanzitutto, il tono. Il target di questi annunci non è lo stesso di quello di un supermercato o di un venditore di mobili. Non stiamo parlando di far comprare un dentifricio con il 3×2 o un divano (sì, mi sto chiaramente riferendo a quella famosa marca di divani che promuove un “solo per oggi” da che ho memoria). Un corso di scrittura vende delle capacità non i prosciutti. Quindi, il linguaggio (e noi sappiamo quanto le parole sono importanti!) è del tutto inadatto. E mi viene da pensare che chi non capisce questo, non possa insegnarvi a scrivere…

Ma la cosa peggiore e che mi fa anche abbastanza arrabbiare (devo essere onesta) è assicurare il risultato.

Io posso farti il miglior corso di scrittura del mondo, dell’universo e darti tutti gli strumenti per scrivere un buon libro ma, anche se tu lo frequenti, puoi sempre scrivere una schifezza.

Cos’è, soddisfatti o rimborsati? Non credo proprio si possa fare questa cosa con delle capacità.

Per cui vi dico, non credete a queste vane promesse di gloria, perché sono false! Non è che un corso di tre mesi vi possa trasformare in Italo Calvino… e, se vi state ponendo la domanda, non vi farà neanche scrivere il nuovo Harry Potter!

Se state cercando un corso di scrittura serio cercatene uno che sia effettivamente in grado di trasmettervi delle capacità.

Tra queste:

  • imparare a leggere. Non finirò mai di dirlo, un bravo scrittore è una persona che legge. E bene. Se fate vostra questa abilità, oltre al piacere di migliorare le vostre letture, scoprirete i passi avanti che può fare la vostra scrittura;
  • l’analisi dei testi e delle strutture di altri romanzi. Se qualcuno ha scritto dei capolavori veri, dei libri immortali, un motivo ci sarà? Non smettiamo mai d’imparare da loro;
  • mettersi in gioco. Quando io ho dovuto approcciare ad un corso di scrittura ho cercato qualcosa che avesse anche una parte pratica. In cui, insomma, si scriveva. E la prima volta che ho dovuto leggere il mio racconto di fronte a dei semisconosciuti era nervosa (tanto perché ci tenevo…tanto!) ma l’ho fatto. E questo mi ha insegnato quanto sia bello avere apprezzamento per i tuoi scritti e il valore enorme di una critica e di un confronto ben fatto.

E tutto questo, non è solo per oggi! Fidatevi (lo dico sempre, mi sento quasi una santona ormai!), dura per sempre.

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Il self publishing

6 Maggio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Non c’è due senza tre e, se avete contato bene, manca solo lui all’appello: il self publishing. E’ tanto discusso, amato e odiato che, qualunque cosa dirò andrò contro qualcuno ma fa parte dell’essere sinceri. Partiamo dal presupposto che è un metodo relativamente “nuovo” per pubblicare e come tale può e continua a migliorare.

E, sinceramente, io non mi sento né di raccomandarvelo né di sconsigliarvelo a prescindere.

Se siete dei lettori fedeli, vi ricorderete che, all’inizio di questa fantastica guida intergalattica per scrittori emergenti, vi ho detto che uno scrittore deve prendere tante decisioni; non mi riferivo solo alla trama, alla copertina o alle cose da tagliare in fase di revisione. Significa anche decidere cosa fare del tuo libro una volta che è bello finito e impacchettato.

Per cui vi elencherò le ragioni per cui ho scelto di non autopubblicarmi:

  • era il mio primo romanzo, avevo un po’ paura di toppare, volevo avere delle opinioni da un professionista, un editor insomma;
  • tu sei Nessuno. Esatto, non ve la prendete. Un esordiente con il suo primo libro in mano è il Sig. Nessuno in persona. Quindi io, Sig. Nessuno, pubblico un libro, passato solo dal mio giudizio (e credetemi, c’è tanta gente che non sa scrivere che pensa di saperlo fare), nel mare magnum di Internet… sono praticamente una barchetta alla deriva. La quantità di fattore C che ti serve per essere trovato da un numero di lettori decente tra le milioni di autopubblicazioni che circolano, dovrebbe moltiplicarsi in maniera esponenziale! Essere trovati è praticamente impossibile senza qualcuno che punti il dito sul tuo libro. E questo ve lo confermo, perché negli ultimi mesi, sto scrivendo su una famosa piattaforma sotto pseudonimo e, ragazzi, non mi si fila nessuno. Per fortuna io lo stavo facendo un po’ per gioco, un po’ per provocazione. Vi dico solo che ragazzini che non sanno usare il verbo avere, su questa piattaforma scoppiano di follower. E la qualità? Traetene voi le conclusioni. Vi dico solo che, in questa quarantena, ho letto molti più post sui social di quanti avrei dovuto e mi sono profondamente avvilita. Neanche le basi dell’italiano…
  • volevo essere “scelta”. Vanità? Egocentrismo? Sì, probabile! Ma anche quel dubbio che penso serpeggi in tutte le menti umili: “e se avessi scritto una cagata pazzesca”?
  • “Un momento di chiarezza” è una storia particolare, non sapevo quanto le persone l’avrebbero ben accolta. La trama di fondo è, di fatto, banale. Devi leggerlo per scoprire le sue particolarità;
  • non volevo vendere il mio libro come una cassa di frutta;
  • ultimo ma non ultimissimo: le copertine dei libri autopubblicati sono veramente brutte! O hai la fortuna di avere un amico o un parente che bazzicano nel disegno o rischi di trovarti una copertina improponibile. E come abbiamo già detto, la copertina fa.

Questa è stata la mia scelta, quello che credevo essere meglio per il mio libro. Ora voi dovete fare quello che è meglio per il vostro. E non flagellatevi se le cose non vanno come avevate previsto.

Sappiate che, di fatto, l’autopubblicazione è una scommessa su voi stessi, come scrittori ma anche come “venditori”del proprio libro. Quindi, se decidete per questa opzione, preparatevi ad accontentarvi di una piccola fetta di pubblico, composta di amici e parenti o siate sfacciati.

Provateci davvero, con impegno! Rischiate!

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Raccontare il lutto

8 Aprile 2020 by Silvia T. Nessun commento

Mi sembra giusto, in questo momento, trattare un argomento in cui siamo immersi tutti, anche se non vorremmo: il lutto.

Gran parte del mio primo romanzo trattava l’affrontare il dolore per riprendersi la vita e i momenti belli. Tutto questo non avviene schioccando la dita, è un processo, diverso per ognuno e per ogni dolore ma è, comunque, fatto di fasi.

Quello che mi colpisce molto, in questo momento, è come siamo stati costretti a cambiare la nostra elaborazione del lutto e del dolore che ne segue.

Le persone stanno morendo da sole, non abbiamo la possibilità di tener loro la mano in quegli ultimi istanti, non possiamo piangerli mentre li seppelliamo, non abbiamo la possibilità di restare loro accanto mentre soffrono. Possiamo solo aspettare che una telefonata per sapere com’è andata a finire.

Devo ammetterlo: io non ho mai visto una persona morta. Ho sempre pensato che quando è finita, quella persona sia solo un corpo, che tutto quello che l’ha resa la persona che amavo era andato via. Eppure, a molti, vederli in pace dà sollievo per quanto possibile. E anche io vado in chiesa, pur non credendo in Dio, per accompagnarli durante il loro ultimo viaggio.

Ora, quelli di noi che l’hanno vissuto, dovranno scrivere un nuovo lutto. Siamo stati privati della persona che se ne è andata ma anche dell’addio, che è una fase fondamentale nell’accettazione della morte.

Come sempre vi dico, che scriviate di voi o meno, cercate di mettervi sempre nei panni del vostro personaggio; darete realismo e permetterete alla gente d’identificarsi.

Quelli che scriveranno di questi lutti, non dovranno sottovalutare questa parte importante, fondamentale nella nostra cultura.

A volte soffrire non è piangere, ogni dolore si esprime diversamente ma ogni dolore ha in sé sempre la paura di perdere qualcuno o qualcosa o entrambe.

Questo virus ha cambiato il nostro lutto, dobbiamo imparare a scrivere anche di questo e della colpa (non giusta ma che ci sarà) di aver lasciato le persone sole mentre morivano.

Voi siete gli scrittori di oggi, state vivendo la situazione in prima persona; toccherà a voi essere i narratori di questa storia. A noi.

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Ci vuole un fiore

11 Marzo 2020 by Silvia T. Nessun commento

Oggi non vi parlerò di Coronavirus perché ne avrete sentite di ogni e sarete informatissimi ma vi dico che, tra le poche attività immuni a qualsiasi contagio, ci sono la scrittura e la lettura. Quindi, leggete e scrivete!

Vi parlerò di un argomento che mi sta molto a cuore e su cui ho capito che c’è molto confusione e poca conoscenza.

Tutto nasce da una frase che mi sono sentita ripetere molte volte: “Io quindici euro per un libro non li spendo. Sono troppi.”

A parte che vedo gente che s’indebita per comprare gli Iphone ma non esprimo giudizi se non dentro di me… ma, a prescindere, noto che i prodotti creativi (nello specifico parleremo del “prodotto libro”) sembrano, per la maggior parte delle persone, generati dalle fate con qualche misteriosa magia.

Quindi, diciamolo chiaramente: i libri non sono vengono fatti dalle fate. E se non appaiono per magia, hanno dei costi. Vediamoli.

La carta. Riciclata o meno, di buona o di scarsa qualità, la carta va comprata per produrre un certo numero di copie. Certo, le casi editrici avranno delle convenzioni basate sulle quantità ma la pagano.

La stampa. Per imprimere le lettere e le parole sulla carta precedente citata, ci vuole un processo di stampa. Idem come sopra, il tutto si paga.

La rilegatura. Avete presente quello sfogliare le pagine che piace tanto a noi lettori della vecchia guardia? Ecco, va pagata.

E questo solo da un punto di vista materiale, di oggetto. Mi spiace spoetizzare l’immagine del libro ma qui parliamo anche di qualcosa di materiale, che ha una consistenza.

E ora veniamo ai costi che ruotano intorno al costo materiale.

Editor e correttori bozze, figure troppo spesso confuse a cui non viene data l’importanza che spetterebbe loro.

Gli editor sono quelle persone che leggono il libro in prima battuta (se non c’è un talent scout che segnala i libri meritevoli di lettura – anche qui – nessuno lavora gratis o non dovrebbe), fanno una prima correzione sulla scrittura e una revisione dei contenuti nonché la verifica di eventuali dati riportati nei manoscritti.

Il correttore bozze è un segugio dei refusi; se dopo essere passati dall’editor e, di nuovo, dallo scrittore, il libro presenta ancora errori grammaticali, di spaziature ecc., il correttore bozze deve stanarli.

Mi prendo un secondo per far presente che questi lavori che richiedono tempo, attenzione e difficoltà (avere a che fare con gli autori non è una passeggiata) vengono pagati una miseria. Se vengono pagati e non affidati a dei poveri “stagizzati” (e sì, il termine non esiste ma credo che ormai si possa utilizzare un verbo a sé stante per queste figure che non vengono formate per lavorare ma sfruttate perché lavorino gratis). Sì, oggi le sto dicendo tutte, così se il Coronavirus mi portasse via mi sarò almeno tolta qualche proverbiale sassolino dalla scarpa.

I grafici. Ovvero chi si occupa dell’impaginazione, in modo che il vostro libro sia leggibile.

Gli illustratori. Si occupano di disegnare la famosa copertina (che ricordo, influenza la percezione del libro e ne determina, in parte, la vendita) e di eventuali illustrazioni all’interno del libro.

E, in seguito, nell’iter di promozione troviamo la parte si occupa della comunicazione (sì, anche il post su Facebook che avete visto oggi) e gli uffici stampa che si occupano delle comunicazioni ufficiali sul libro, le presentazioni ecc…

Ultimo ma non ultimissimo, stoccaggio e consegna. Ora che abbiamo un certo numero di copie stampate di un libro, le teniamo nello sgabuzzino? Eh no! Bisogna conservarle in un luogo dove non si rovinino con l’umidità o perché potrebbe cascare loro addosso la latta di vernice avanzata dalla vostra ultima imbiancatura. E, a meno che, non conosciate un buon samaritano, questo lo pagate.

E come arriva il libro dal magazzino alla libreria in cui lo comprate? Avrete già capito, ci vuole qualcuno che glielo consegni e, di solito, non ci va l’editore sullo scooter.

Certo, un e-book costa molto meno in termine di produzione (e, infatti, costa anche meno) ma anche lì c’è una manodopera che non immaginereste.

E ora la parte che tocca in prima persona. Da quel prezzo di copertina, gli editori tirano fuori anche il compenso per noi che il libro lo abbiamo scritto. E non finirò mai di dire, che quello che guadagna uno scrittore oggi in Italia, è ridicolo. E’ pochissimo, non rende onore neanche al tempo che ci abbiamo messo per scriverlo. Ci meritiamo di più. Ricordiamoci sempre che senza scrittore, niente libro. Si annulla tutta quella catena di costi e di persone che lavorano per creare un libro. Noi siamo il Paziente Zero, quello da cui tutto ha inizio.

La canzoncina che cantavamo quando andavamo a scuola ve la ricordate? “Per fare un albero…”, ecco noi siamo il fiore. Per fare tutto, ci vuole un fiore!

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I miei scrittori, le mie rockstar

19 Febbraio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Quando ero bambina, volevo fare la scrittrice. Pensavo che per farlo, avrei dovuto scrivere. Solo scrivere. Logico no? Scrittrice uguale scrivere. (In questo paragrafo la parola scrivere è ripetuta quattro volte, per rendere più efficace il concetto!)

Quando io ero bambina però, il mondo era diverso: non c’era Internet. O meglio, era una realtà agli albori. Pensate che ho avuto il mio primo cellulare a diciotto anni! Lo so, è strano pensarci adesso. Chi nasce in questi anni è già immerso nella tecnologia.

I libri che leggevo erano scritti da persone inarrivabili, spesso morti (leggevo molti classici), delle rockstar! Di molti non si sapeva quasi nulla, i dettagli della loro vita personale erano riservati. Spesso venivano fuori dopo la loro morte. Il successo era decretato dal fatto che il loro romanzo arrivasse o meno al pubblico. Eh sì, questo rimane sempre uguale…

Oggi non è più così; la maggior parte degli scrittori ha una pagina social, scrive per riviste o blog, si fa conoscere dal suo pubblico in altri modi, come persona.

Nel mio caso in particolare (pubblicazione con crowfounding) ho scoperto che uno scrittore deve avere competenze in marketing, statistica, grafica, social media e qualche base di economia. Con un po’ di duttilità, ne ho imparate alcune e altre le ho recuperate in giro.

Quindi scrittrice non vuole dire più solo scrivere? Certo! Ma c’è altro: il rapporto tra scrittore e lettore si fa più intenso. “Conoscere” diventa la parola chiave.

Solo cinque mesi fa ero davanti alla casa di Stephen King (che vedete nella foto)! Chi l’avrebbe mai immaginato quando ho letto “Carrie“! Questo perché tutti sanno dove abita Stephen King.

Una volta, una persona mi disse: “Hai scritto un libro? Ma hai fatto anche altro? Sì, perché prima devi diventare famosa e poi scrivere un libro”. Per quanto sia terribile sentirsela spiattellare in faccia con tanta sincerità, la considerazione è giusta: se fossi stata già famosa e, quindi, conosciuta, pubblicare un libro sarebbe stata una passeggiata.

Per me la verità sta nel mezzo, come al solito. Da piccola sconosciuta scrittrice esordiente, mi piace avere il feedback delle persone su quello che scrivo, mi piace che sappiano che sono una tizia molto comune con gli stessi problemi di tutti. (In fondo, uno scrittore, un po’ egocentrico lo è, altrimenti non potrebbe fare questo mestiere).

Ma ed è un grosso ma, c’è un limite: lo scrittore non deve essere influenzato dal pubblico prima ancora di scrivere. Le case editrici vorranno la mia testa ma la verità è: se volete scrivere qualcosa di buono, non dovete pensarlo per gli altri ma per voi stessi. Una volta scritto, deciderà il pubblico se gli piace o meno.

Il “ma” del pubblico è che i lettori non dovrebbero farsi influenzare dalla fama per comprare un libro. Dovrebbero decidere in base ai propri gusti e alla qualità di quello che leggono.

E’ difficile, lo so. Per entrambe le parti in gioco. Ma vuoi mettere l’orgoglio di cui ero piena ieri sera mentre il mio libro era su uno scaffale in attesa di essere comprato e letto? Io voglio che quante più persone lo leggano perché io “conosco” il mio libro, so che è vero e che mi piace.

Vi dirò… Sarebbe stato stupendo anche prendere un tè (e non piace!) con Jane Austen o un caffè con Marquez o andare a fare la spese con la Woolf o con la Allende. E potrei fare un elenco infinito. Probabilmente avrei preparato delle domande da fare loro e poi mi sarei bloccata come una ragazzina emozionata.

Che vi dicevo? Rockstar!

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Il racconto: un’arte sottovalutata

15 Gennaio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Una volta lessi un post sulla mia pagina di Facebook; a quanto pare, era la giornata mondiale della lentezza. Per prima cosa ho pensato: ma tutti i giorni è la giornata mondiale di qualcosa? Poi ho pensato: sarà mondiale ma a Milano la lentezza è un’utopia. E poi l’ultimo pensiero, la vera idea: e se per un po’ vivessimo davvero tutti più lentamente? Che succederebbe? Ne è nato un racconto.

All’inizio, come molti, pensavo che il racconto fosse un genere minore. Il romanzo cavolo! Era quello a cui puntavo. Poi, dopo aver letto Buzzati, A.Munro, Richard Yates, Dorothy Parker e tanti altri, ho scoperto che avevo torto e ho capito che un vero scrittore è capace di scrivere un buon racconto. Ergo, non è così facile scrivere un racconto.

Quello che non tutti sapete è che, prima di avere questo bellissimo blog, ne ho avuto un altro altrettanto bello (ancora attivo) con due meravigliose amiche e scrittrici: Unastanzatuttapertre. Qui abbiamo raccolto tutta una serie di racconti brevi da noi scritti. Per quanto mi riguarda, l’importanza di questo progetto e la scrittura di racconti brevi è stata fondamentale per arrivare a scrivere un libro.

Ma come si scrive un racconto? Analizziamo i punti principali.

Lo spunto: può essere davvero qualunque cosa. E non sono troppo generica. L’ispirazione può arrivare da ciò che avete visto o sentito, da una persona che avete incontrato, da una vostra esperienza o da un sentimento che state vivendo o avete vissuto. Ma ne sto sicuramente dimenticando qualcuno.

Il racconto breve: si articola solitamente in poche pagine. Tre o quattro al massimo. In Unastanzatuttapertre, l’obiettivo era addirittura di stare in una pagina e mezza/due (sempre più difficile). Dovevano bastare cinque minuti a leggerli. E’ questa la caratteristica che dovete perseguire in un racconto breve. Due/tre pagine sono troppo poche per creare una trama di senso, un percorso di cambiamento plausibile per uno o più personaggi. Dovete immaginare il racconto breve come una fotografia, come un lampione che illumina una scena. E in quella scena, c’è la vostra storia. Per fare questo, mostrare e non descrivere (come abbiamo già visto) è necessario.

Il racconto lungo: solitamente (ma non obbligatoriamente) è tra le trenta e le sessanta pagine. Ovviamente, con più pagine, aumenta lo spazio di manovra. La storia si può comporre di più azioni, il percorso dei personaggi si allunga e le situazioni possono modificarsi (tutto nel limite del plausibile). State, però, molto attenti: non sbrodolate. Non finirò mai di scrivervelo. E’ vero, io sono un amante del poco ma buono ma ho davvero letto racconti lunghi che potevano tranquillamente diventare racconti brevi e ci avrebbero guadagnato.

Il finale: sempre una questione complicata. Nel racconto lungo, usate il principio del romanzo: sbizzarritevi. Ma mi raccomando, non tirate fuori il coniglio dal cappello. Se i conigli non vivono nei capelli un motivo ci sarà no? Per il racconto breve vi dico solo questo: una foto finisce? Non scrivete per arrivare al finale ma per lasciare un’immagine.

Quello che vi posso assicurare è che vi sarà utile scrivere racconti, vi darà un nuovo metro per valutare, la capacità di togliere il superfluo e, se riuscirete a mostrare e a scrivere un bel racconto, avrete vinto su tutta la linea.

Per correttezza, devo dirvi che è molto difficile che un esordiente riesca a pubblicare (con una casa editrice intendo) un racconto o una raccolta di racconti. E’ un genere meno diffuso, meno letto e quindi meno venduto.

Dall’altro lato, mi sento di fare una critica: ho letto racconti molto più belli e meglio scritti di romanzi (no, non vi dirò quali) o addirittura di trilogie (no, non vi dirò neanche questo).

Questo ci riporta alla mia considerazione iniziale: un bravo scrittore sa scrivere bene anche i racconti.

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I concorsi letterari

8 Gennaio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Su richiesta di una lettrice del blog, oggi ci dedichiamo a un argomento su cui molti scrittori o futuri tali s’interrogano: i concorsi letterari. Mi sono accorta che c’è molta confusione su questo tema e vorrei darvi un paio di dritte che ho imparato partecipando io stessa ad alcuni di essi.

Se cercate online, troverete concorsi di tutte le forme e i colori. Io, di solito utilizzavo questa pagina ma ne esistono molte altre. Non sarà difficile trovarne uno che faccia al caso vostro.

Partiamo, innanzitutto, dal presupposto che un concorso è un buon esercizio di scrittura; avere un obiettivo, un tema (ma anche senza), una scadenza e una lunghezza da rispettare non può farvi che bene. Disciplina un’attività che, di solito, tra gli scrittori non professionisti è molto caotica e disordinata.

Inoltre, vi permette di cimentarvi con la scrittura del racconto breve che, come ho già scritto più di una volta, sarà di enorme aiuto per passare poi a un romanzo vero e proprio. A questo proposito, la settimana prossima scriverò un post sulla costruzione del racconto.

Ma torniamo ai concorsi. Vi ho parlato del racconto perché, di solito, è questa la tipologia di scrittura richiesta (a meno che non sia un concorso di poesie). In pochi, come il premio Calvino (che però gode di un certo prestigio e richiede un contributo d’iscrizione abbastanza alto), sono esclusivamente per libri finiti.

Molti sono organizzati da associazioni culturali e da biblioteche e alcuni hanno come temi argomenti molti stimolanti e problematiche sociali. Io, ad esempio, ho partecipato a un concorso della biblioteca di Carugate sul tema dell’alimentazione. Spoiler: non ho vinto.

Il punto è capire perché vorreste partecipare a un concorso letterario; se lo fate per mettervi in gioco, per far leggere i vostri scritti a qualcuno che non sia la vostra migliore amica o semplicemente per fare un tentativo, io vi direi di buttarvi senza problemi. Tentare non costa nulla (se il concorso è gratuito).

Io, da parte mia, volevo visibilità. Volevo scrivere un romanzo un giorno ma avevo anche dei racconti a cui tenevo molto e volevo che venissero letti. Di nuovo spoiler: poi ci sono riuscita in un altro modo (ma di questo parleremo la settimana prossima).

Io non so dirvi se un concorso letterario vi porterà visibilità. Con me non lo ha fatto, magari con altri sì. Io ho tentato perché ho pensato che le possibilità di essere “trovati” con un piccolo concorso erano davvero difficili ma essere “trovati” se non sei da nessuna parte era impossibile.

La questione premio. I premi possono essere tra i più disparati (dal set di prodotti da bagno a una somma di denaro), dipende da chi organizza il concorso ma, molto spesso, c’è in palio una pubblicazione in una raccolta che poi verrà in qualche modo distribuita o venduta.

Per questo, è molto importante leggere attentamente il bando: cercate di capire, a concorso concluso, vinto o meno, che fine farà la vostra opera. Il diritto d’autore è vostro ma potrebbero specificare che cedete il diritto di riproduzione (che è poi quello che acquista da voi una casa editrice) per l’utilizzo indicato e per eventuali altri futuri.

Inoltre, in caso di pubblicazione della raccolta, state bene attenti che il bando non preveda l’acquisto obbligatorio di un totale di copie da parte degli autori stessi. Magari per voi può andare bene ma siatene consapevoli dall’inizio per evitare spiacevoli sorprese.

Se il bando non vi sembra chiaro, non esitate a chiedere informazioni al numero di telefono o alla mail che vengono indicati per eventuali comunicazioni. Dovrebbe esserci sempre almeno uno dei due.

Un’ultima piccola considerazione: ho notato che, spesso, questi concorsi vengono vinti da racconti molto “classici”. Non voglio dire che sia una cosa negativa (se il racconto è bello, è bello e fine) però un concorso letterario ha davvero la possibilità di fare uno scouting tra scrittori molto diversi tra loro. Potrebbero utilizzare meglio l’occasione e provare nuove strade. Chissà, magari funzionano.

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La bugia più grande del mondo

19 Dicembre 2019 by Silvia T. Nessun commento

Non creerò la suspence. La bugia più grande del mondo è: la Magia non esiste.

Lo so, dovrei mantenere il mio aplomb di scrittrice cinica e disinteressata ma sono stata bambina anch’io (incredibile!) e ho creduto (e forse ci credo ancora) a Babbo Natale. Piccola parentesi: da piccola ero affascinata dall’idea d’incontrarlo ma anche un po’ spaventata, non so perché, forse non essendo una persona “normale” m’intimoriva un po’… La Befana poi: volevo i dolci ma non volevo vedere “la vecchia con le scarpe tutte rotte”, doveva essere davvero brutta e con un ghigno malefico. Rimanevo sveglia la notte per la paura che arrivasse. Solo dopo ho capito il sessismo della cosa e, ora, sono una sua grande fan (probabilmente prende la metà di stipendio dell’omone vestito di rosso!)

Quest’anno, per mia volontà e mia soltanto, ho deciso di portare la Magia con l’unico dono che possiedo: la scrittura. Ed ecco il motivo di questo post ma fidatevi scrittori, vi tornerà comunque utile.

Partiamo dal fatto che, per me, Natale uguale Dickens (tra l’altro, io e il caro Charles siamo nati lo stesso giorno. Sì, anche l’anno, me li porto bene!). Dickens era uno che ci credeva; ovviamente non pensava che tre fantasmi potessero materializzarsi a qualcuno ma (ed ecco la Magia dello scrittore) ha avuto la capacità di trasformare pregi e difetti dell’animo umano in una storia fantastica, dove tutto può accadere. E accade.

“La via che gli uomini seguono presagisce una fine sicura se essi vi perseverano, ma, modificando quella via, anche la fine deve cambiare.” (Canto di Natale – C. Dickens)

Vi posso assicurare che la Magia esiste e io l’ho vista più di una volta. L’ho vista in una famiglia che si riunisce ostinatamente ogni anno per festeggiare il Natale, nonostante tutto. L’ho vista su un divano dove due ragazzi si scambiano i regali, ascoltando le canzoni di Natale. L’ho vista tra i volontari che portano le coperte e una fetta di panettone ai senzatetto e negli occhi di una mamma sola che cerca di rendere il Natale del suo bambino speciale, in mezzo a un’infinita serie di difficoltà. La sto vedendo ora, in due fidanzati che bevono una cioccolata calda in una caffetteria piena di lucine e festoni. La vedo ogni giorno nel mio albero di Natale; sì, il mio albero di Natale è magico.

E, soprattutto, la vedo nei bambini; nella loro gioia di scrivere la letterina, aspettare il regalo, scartarlo con impazienza sotto gli occhi di genitori e parenti più contenti di loro. Neanche Harry Potter potrebbe portare più Magia di così. Fidatevi.

Lo so, ve lo dico di continuo di fidarvi di me! Ma, in fondo, la fiducia non è Magia? Non si vede, non si sente ma, quando c’è, si percepisce. E allora siete un po’ magici anche voi, no?

Il ruolo che ho ritagliato per me questo Natale è davvero bello e mi rende molto fiera: io sarò la voce narrante della Magia del Natale.

E forse, ne terrò un pochino per me. Solo un po’.

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La luce all’inizio del tunnel: ricominciare a scrivere

4 Dicembre 2019 by Silvia T. Nessun commento

Vi posso assicurare che ci saranno giorni brutti. Molto brutti. Ci sono, nella vita di tutti. Ma per voi, cari colleghi scrittori, saranno ancora peggio. E non perché abbiamo l’oligopolio delle emozioni ma perché abbiamo una dannata ostinazione a cercare di capire. Dobbiamo meticolosamente passare al vaglio ciò che proviamo, capirne le ragioni e ovviamente chiederci fino all’ossessione se sia giusto che stia capitando a noi.

Ma, come mi disse una mia insegnante alle superiori, alcune cose sono così e basta e vanno accettate. Perché c’è un momento in cui ti crolla tutto addosso e ti sembra che possa solo peggiorare. E questo è il momento in cui dovete scrivere.

Non dico che uno scrittore felice non possa scrivere qualcosa di buono ma uno scrittore a cui le cose non vanno bene, scrive “grandi cose”. Accetto la diatriba che potrebbe scatenare questa affermazione. Ma i grandi scrittori del passato ci hanno lasciato una grande lezione: nella sofferenza c’è creatività.

Per vari motivi, questa è la situazione in cui mi trovo ora. Per cui, eccola qua la scintilla creativa. E’ora di ricominciare a scrivere. Solo che ora devo trovare il modo d’incanalare queste sensazioni in una storia, perché voglio scrivere un altro libro, non un altro diario.

Per fare questo, ho tentato di rientrare in contatto con persone che scrivono e ho notato una cosa che mi ha lasciato perplessa: c’è una tendenza generale a sottolineare l’importanza delle emozioni nei corsi di scrittura. Così nascono incontri interdisciplinari tra il coaching e la scrittura creativa. E mi chiedo: ma tutta la scrittura non è un confrontarsi con le proprie emozioni? Non esiste una scrittura di qualità (o che prova a esserlo) senza questo processo.

Quando ho scritto il primo capitolo di “Un momento di chiarezza”, non sapevo che fosse l’inizio di qualcosa. Mi sono svegliata una domenica mattina più stanca di come ero andata a letto; soffrivo per amore, per il lavoro, per la prospettiva che non sarei mai riuscita a finire uno dei miei tremila romanzi incompiuti. Volevo creare un alter ego a cui andasse tutto male ma che fosse talmente indurita dalla vita da sbattersene di tutto. La nascita di Daisy è imputabile al mio egoistico desiderio di scaricarle addosso parte (se non tutta, non mi offendevo!) della mia sofferenza.

Io non avevo fatto nessun percorso per capirmi meglio, per esprimere e accettare le mie emozioni ecc… Ho scritto e, visto il mio stato d’animo dei tempi, il primo capitolo non si poteva svolgere durante il carnevale di Rio de Janiero.

Però io avevo l’ironia, il sarcasmo. Beato sarcasmo che tutto protegge e rende ridicolo! Vedere il lato comico di quello che scrivevo me lo faceva vedere anche nella vita reale. Ed è così che la scrittura mi ha salvato (quella volta ma non è stata l’unica).

Il mio consiglio è: se vedete la luce davanti al tunnel andatele incontro, forse è l’inizio di qualcosa, forse no. Non chiedetevelo adesso. Dopo sarà programmazione e revisione e tutto quello di cui abbiamo parlato in questo manuale. Ma la scintilla, lasciamola libera e vediamo dove ci porta.

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