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Manuale

La scrittrice

7 Agosto 2020 by Silvia T. Nessun commento

No, non è il titolo di un romanzo. O forse sì, un thriller norvegese dove l’assassina uccide con un penna stilografica… tra le vittime poveri stolti che scrivono “qual è” con l’apostrofo. Andava fatto!

Comunque, a parte gli scherzi, scrittrice è un parolone e non è una qualifica facile da conquistarsi. “Quando sarò una scrittrice” ripetevo sempre “andrò in Comune a rifarmi la carta d’identità e lo farò scrivere a carattere cubitali, professione SCRITTRICE”. Ripenso con tanta tenerezza a quella me. Ovviamente non sarei andata in giro con la carta d’identità aperta in mano ma… probabilmente l’avrei tirata fuori con molta nonchalance, di tanto in tanto, adducendo qualche motivo assurdamente convincente.

E poi è successo, come quando dai il primo bacio o dici per la prima volta “ti amo”; rimani lì ferma con una grande idea di come avrebbe dovuto essere quella scena ma è già successo, non hai avuto tempo di pensare o di assumere Spielberg per fare la regia.

Eppure ci avevi messo tanto impegno per non perderti il momento. Quando sono diventata una scrittrice? Anzi, allarghiamo la domanda, quando si diventa scrittori?

Mentre scrivi? Quando ti pubblicano? Quando sei sullo scaffale della libreria? O quando ti leggono? (Ho volutamente omesso “quando ti pagano” perché è il momento in cui ci sente meno scrittori che mai… a meno che tu non venda come la Rowling ovviamente!)

La verità è una: la scrittura non è un mestiere che ha bisogno di essere legittimato su una carta d’identità o su un curriculum. Lo scrittore è, non fa.

Quindi, di fatto, quando vi sentite scrittori (ma siate onesti con voi stessi!), siete scrittori.

Devo ammettere che mi fa piacere (molto piacere!) quando gli altri mi danno della scrittrice . Me lo merito, me lo sono guadagnato, ho lavorato tanto e ci ha creduto anche quando ci credevo solo io.

Ora mi piacerebbe che ve lo chiedeste anche voi: vi sentite scrittori?

Vi lascio con quest’ultimo interrogativo (come se non ne aveste già abbastanza!) e vi auguro delle buone vacanze, qualsiasi cosa voglia dire per voi. Spero che scriviate e tanto.

Una mia cara amica dice che l’anno vero è quello scolastico, finisce con la fine dell’estate e riprende a settembre. Così, in quest’anno senza scuola, vi auguro un settembre tutto da scoprire e da riscoprire.

Personalmente ho avuto un anno impegnativo ma soddisfacente (penso comunque che essere scampati a una pandemia dovrebbe fare curriculum!). Spero in un’ estate prolifica per la mia scrittura e rilassante per il mio stanco cervello. “C’è ancora molta strada da fare prima di dormire” scriveva Frost e lo penso anch’io.

Divertitevi però, perché credetemi, anche gli scrittori si divertono ogni tanto!

Firmato

La scrittrice

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La generazione Y

4 Luglio 2020 by Silvia T. Nessun commento

“Con i termini generazione Y, millennial generation, generation next (generazione successiva) o net generation (generazione della rete) si indica la generazione che, nel mondo occidentale o primo mondo, ha seguito la generazione X e alla quale succede la generazione Z: coloro che ne fanno parte – detti millennial(s) o echo boomer(s) – sono i nati fra i primi anni ottanta e la metà degli anni novanta.[1][2]; è dunque la generazione “del millennio“, ovvero coloro nati alla fine del XX secolo.” Wikipedia

Solo io la trovo una definizione complessa?

Non avevo mai pensato di essere una “millenial”, io mi ricordo che ero la generazione in cui non si dava un nome alle generazioni.

E Y poi? Che lettera è? Quando giocavamo a “nomi, cose, città”, quando qualcuno beccava la Y si annullava e si pescava di nuovo.

Ecco che generazione siamo. Quella che si passa per arrivare a un’altra. Cioè, siamo nell’alfabeto ma parlandoci chiaramente: una cosa che comincia per Y? Siamo stati lasciati sul foglio senza che nessuno ci abbia fatto giocare.

Le premesse erano fantastiche, eravamo bambini nel boom economico, quando il buco nell’ozono era ancora un piccolo pertugio, quando non si moriva perché mangiavi il glutine e siamo cresciuti senza Internet e cellulari.

Meglio? Peggio? Non è questo il punto.

Lasciate che vi racconti qualcosa della generazione Y, la mia generazione.

Non ho paura a dire che, ormai, noi Y siamo arrivati alla soglia della quarantina ed è più facile vedere ora quello che è stato.

Che ci sia andata bene o male, possiamo affermare che siamo stati la generazione più danneggiata dalla società italiana. I problemi delle generazioni seguenti viene dal danno fatto a noi.

Allora, io ho provato, nel mio lungo percorso, ad affittare e a comprare una casa e volevano un rene in cauzione (organo vitale che se ne sarebbe andato). E, in questa società che demanda tutta la pressione sulla famiglia di origine, senza un padre danaroso o un marito, non puoi essere indipendente fino in fondo. Da donna, è così che mi sento e che mi sono sempre sentita.

Con noi sono nati, precarietà, stagismo professionale (termine con cui indico chi, a causa della contingenza, è diventato uno stagista di professione. Uno dei grandi errori è stato permettere la nascita di questa figura in Italia. Non eravamo in grado, bisognerebbe solo abolirla ormai, non c’è possibilità di sistemarla), amore liquido (e qui prendo il nome dalla sociologia per indicare relazioni amorose “di merda”. Scusate il francesismo ma non mi viene in mente altro) e abbiamo aperto la strada ai famosi “bamboccioni” (quando ho sentito per la prima volta questa definizione mi è quasi esploso il fegato dalla rabbia ma, tranquilli, ora sta bene).

Cosa c’entra questo con la scrittura? Forse non l’ho detto abbastanza volte: tutto c’entra con la scrittura. Scrivere è parte di un vissuto.

E il nostro vissuto è quello di una generazione con grandi sogni, rassegnarsi al fatto che le cose debbano essere così non ci va proprio giù. D’altronde, come dico sempre, il giro sulla giostra è uno e non ce ne concederanno un altro. Siamo sognatori. Potete biasimarci?

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Politically correct

28 Giugno 2020 by Silvia T. 2 commenti

AVVERTENZA: SE STATE CERCANDO UN POST PIENO DI LUOGHI COMUNI E FRASI FATTE, SMETTETE DI LEGGERE.

Chi mi conosce sa che io non sono politically corret; non tutti i bambini sono belli, non tutti gli anziani sono brave persone e il finto buonismo mi fa paura, più della vera cattiveria.

E ora mi trovo immersa in una voglia disperata di sembrare quello che non riusciamo veramente a essere nelle vita di tutti i giorni.

Ho vissuto sempre nel rispetto delle persone senza preoccuparmi del colore, della religione, dell’orientamento sessuale… Le uniche persone che non rispetto sono quelle che, con i loro comportamenti, mi hanno dimostrato di non essere degne di questo rispetto.

Perché il loro modo di essere o le scelte che altri fanno dovrebbero essere un problema per me? Se non si ripercuotono sulla mia vita…

Comunque, il punto qui è che si stanno facendo delle considerazioni assurde anche sui mestieri artistici tra cui la scrittura, che mi sembrano far perdere il punto più che sottolinearlo.

Quando ho visto George Floyd per terra in quel video, mi sono quasi sentita male e ho pensato: “Come si può usare tanta violenza contro un uomo immobilizzato?” E mi sembra totalmente assurdo che in ogni serie in onda nella Stati Uniti ci sia obbligatoriamente un personaggio di colore mentre nella realtà la polizia si comporta così con i neri perché sono neri.

Di che cosa stiamo parlando? Non mandiamo in onda “Via col vento” perché Mami era trattata come una donna di colore senza diritti, esattamente come nella realtà di quel periodo? E poi? Toglieremo di mezzo libri, film e serie che parlano del razzismo o dell’Olocausto perché persone di colore ed ebrei vengono torturati e uccisi? E’ così che è andata, anche se non lo mostriamo, la Storia non si cambia.

La scrittura poi, in senso ampio (libri, film, serie), non può e non deve piegarsi a questa logica del politically correct. L’unica cosa che comanda quando scrivi è la storia, tutto deve ruotare intorno a quella e non all’indice di diversità.

Ora sembra che qualsiasi storia per essere reale debba avere un personaggio di colore (qualsiasi), un gay o una lesbica (bisessuale sarebbe meglio) o con un disturbo mentale.

Nel mio romanzo non c’era niente di questo, quindi i miei personaggi erano meno reali? Io non credo proprio. Ho cercato di descrivere sensazioni universali che non conoscono razza, religione, orientamento sessuale…

Nel momento in cui pensi che devi inserirci un gay solo perché è gay o una persona di colore per garantire la diversità, categorizzi e discrimini.

L’eccesso di correttezza porta al risultato opposto. Pensiamo, invece, a come i personaggi possano essere funzionali e coerenti con la nostra storia.

Recentemente mi ha sconvolto questa cosa. Come vi ho già detto, io sono un’appassionata di serie tv. E tra quelle che adoro c’è Friends. Ho letto che una delle autrici ha orgogliosamente affermato che se Friends fosse stato girato oggi, avrebbe inserito un personaggio di colore. Perché? La storia funziona e fa ridere e affronta le sue tematiche spinose, anche se i personaggi sono tutti bianchi.

Cominciamo davvero a trattare gli altri come persone, a integrare e non a dividere, a conoscere e non a giudicare. Queste sono le cose importanti.

Il resto, onestamente, mi sembra il dito che ci indica la luna e noi stiamo tutti lì a guardarlo.

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Il ricordo

7 Giugno 2020 by Silvia T. 2 commenti

Probabilmente l’avrete già sentito da qualche parte, soprattutto se scrivete da un po’ di tempo ma “l’atto di ricordare cambia il ricordo stesso“.

Ve ne sarete accorti; spesso raccontiamo lo stesso evento ma con dettagli diversi, a volte addirittura contrastanti. Questo perché la nostra memoria, soprattutto con il passare del tempo, tende a sfocare lo sfondo per concentrarsi sugli eventi principali. Quello che raccontiamo o che scriviamo è la nostra rielaborazione di un particolare ricordo.

Ciò che, invece, rimane stampato nella nostra mente è la sensazione che provavamo in quel determinato momento e questo influisce anche sulla selezione dei dettagli che la nostra memoria si porta dietro.

Per questo oggi voglio fare una cosa diversa, darvi un esercizio pratico, perché va bene la teoria ma, di fatto, uno scrittore deve scrivere.

Il modo in cui rielaboriamo ci rende unici ed è questo che vorrei che faceste: pensate a un momento della vostra infanzia che vi ha dato un’emozione (gioia, dolore, rabbia, solitudine, felicità…) e scriveteci un racconto. Concentratevi su ciò che provavate e non sugli eventi.

Questo è il racconto che ho scritto io quando mi è stata chiesta la stessa cosa ed è anche la prima cosa scritta da me che sia mai stata pubblicata (dalla rivista letteraria Paginauno). E’ liberamente tratto da un ricordo reale della mia infanzia.

NEL PAESE DEI BAMBINI

Sembravano essere lì da sempre e forse era proprio così; messi lì apposta come statuine di un presepe per dare anima a quell’insieme di palazzi.

Era ormai quella disomogenea combriccola di ragazzini a dare orari, suoni e colori all’intero del quartiere, come il motore che alimenta la macchina.

Cominciavano a comparire un po’ alla volta nel cortile già al mattino, ora che era estate, con i loro calzoncini corti e le canotte colorate; si ritiravano nella tana per pranzare o cenare e poi eccoli di nuovo lì, senza scopo né noia, a gironzolare tutto il pomeriggio o seduti a parlare sulle panchine fino a tarda sera.

In quell’afosa giornata di luglio si stavano tirando la palla nello spiazzo davanti alla portineria; l’asfalto era piegato dal calore intenso e i vestiti rimanevano appiccicati al corpo come attratti da una calamita.

Eppure, la piccola comitiva non sembrava risentire dell’infernale temperatura di mezzogiorno. In fondo si sa: nel paese dei bambini non è mai né troppo caldo né troppo freddo!

Valentina, la più alta e scaltra del gruppo, si lanciò per afferrare la palla lanciata malamente da Mattia.

“Ma che si fa, non si va a mangiare?” chiese Sicilia, soprannominato così per la provenienza geografica.

Si era trasferito a Milano solo da pochi mesi e da allora era stato ribattezzato da Laura con il nome della terra natia perché nessuno riusciva mai a ricordarsi quello vero; avevano ritenuto più facile presentarlo come “Lui è Sicilia, per gli amici Sici!”

Impossibile da dimenticare!

“Aspettiamo che ci chiamino!” rispose Laura.

Sici fece una smorfia di disappunto “Speriamo presto allora, mia madre oggi ha fatto la pasta con le sarde!”

“Che schifo!” sbottò Marta.

Marta era piuttosto bassina per la sua età e con qualche chilo di troppo, ma era molto agile e tra loro era l’unica che riuscisse a risalire lo scivolo al contrario, motivo di indiscusso vanto.

“Cosa sono le sarde?” chiese Mattia perplesso.

Sici scrollò le spalle. “Una cosa buona che si mette nella pasta…non lo so esattamente, mia madre dice cittu e mangia!”

Tutti presero per buona la definizione della sarda della madre di Sici.

Marta tirò la palla a Mattia con tutta la potenza di cui era capace ma lui, distratto da uno stormo di uccelli che si levava in quel momento, la fermò con la faccia.

Laura si avvicinò subito al fratello minore: “Oh Matti, ti sei fatto male?” chiese.

“Mmmm…” mugugnò Mattia tenendosi la guancia con una mano; Laura gliela scostò delicatamente e lo vide arrossarsi di colpo e gonfiarsi leggermente.

“No dai non è niente, è la botta, ora si sgonfia! Cavolo Matti, stai attento, adesso se mamma ti vede con quella faccia sai quanto mi rompe! Dai Sici ricominciamo da te!”

Sici riprese la palla e la lanciò in aria senza direzione; quella partì come attaccata ad un razzo e si andò ad appoggiare con un sonoro rimbalzo proprio sul tetto della portineria.

“Allora tu sei nato scemo Sici! Ora ci vai tu a bussare a Carmelo!” sentenziò Valentina.

“No dai Vale…quello mi fa paura!”

E, come evocato, sulla soglia apparve Carmelo, il portinaio, con la sua camicia bianca sudaticcia a coprire la grossa pancia, la testa calva al centro e i baffoni da narcotrafficante colombiano.

“Che avete combinato?” disse in un italiano sgrammaticato.

“Carmelo, ci è finita la palla sul tetto…non ce la puoi prendere?” chiese Laura.

Carmelo scosse la testa. “No è troppo alto, non ci arrivo!”

“Ma con la scala ci arrivi… se vuoi ci vado io!” ribatté Marta.

“No, non si può!” Carmelo si pronunciò ponendo fine alla discussione.

Aveva quello sguardo che evitava ogni tipo di obiezione.

Da tempo ormai tutti avevano capito come funzionava la giurisdizione condominiale: per qualche strana ragione tutto ciò che finiva all’interno del perimetro della portineria diventava automaticamente di proprietà di Carmelo.

In quale antica consuetudine affondasse le radici questa legge a tutt’oggi risulta un mistero!

“Bella Sici davvero! Altra palla persa per sempre!” si complimentò ironicamente Valentina.

“Beh però era un bel tiro…dieci punti almeno!”
“Peccato che non stavamo giocando a punti! E ora che si fa?”

“Campana?” propose non troppo convinta Marta.

“Ma l’abbiamo già fatta stamattina! Lupo mangia frutta?” ipotizzò Laura.

“No… ho già fame così!” borbottò Sici.

“Che palle! Mangiati uno di quei fiori della Madonna…sono zuccherini lo sai, almeno ti bloccano la fame per un po’!” intervenne Mattia.

“Dai facciamo un due tre stella allora? Andiamo sotto il mio portico!” tagliò corto Laura.

Appena arrivati videro una delle loro mamme con ancora le ciabatte addosso e l’aria agguerrita che usciva dal portone.

“Laura…Mattia…è mezz’ora che vi chiamo dal balcone! Dove eravate? E’ pronto da mangiare! Ma Matti” disse notando il volto del ragazzino arrossato “che ti è successo in faccia? Sei viola!”

“Niente mà, è solo un po’ rosso, gli è arrivata una palla in faccia mentre giocavamo!” rispose Laura per il fratello senza menzionare l’autrice del tiro maldestro.

“E tu dov’eri?” chiese la madre rivolta alla bambina.

Laura roteò gli occhi verso l’alto senza emettere fiato, da tempo sapeva che non c’era una risposta giusta a quel genere di domande.

Tentò di cambiare argomento: “Mamma, stamattina Gennaro ci ha buttato giù di nuovo le bistecche! Ci stava quasi beccando!”

“Quell’uomo è malato Laura…con quello che sta la carne al chilo…” disse tastando delicatamente la guancia del figlio.

“Ma mamma…”

“Sì sì” disse la madre dopo essersi accertata che il danno fosse solo superficiale “ magari se voi la smetteste di fare casino sotto la sua finestra la sera…comunque lo dirò a Carmelo…vediamo! Che fate salite a mangiare o no?”

“Io non ho fame” disse Laura.

“Io vengo dopo mà!” si associò Mattia.

“Va bene…” disse la madre riaprendo il portone e mentre andava via “e tu Matti…tieni la faccia lontana dalle palle!”

Il gruppetto sghignazzò.

La madre scosse la testa rendendosi conto in ritardo del doppio senso della sua frase e poi, rassegnata, si trascinò con le sue pantofole fino all’ascensore.

I ragazzi rimasero lì sotto e cominciarono a giocare.

Laura contava: “Uuunnnn….duuue…tre.. stella!”

E si voltò velocemente per percepire un movimento ma rimase colpita dall’espressione di Sici; sembrava stesse soffiando, strabuzzava gli occhi ed era tutto rosso.

“Sici sei fuori!” disse.

“Ma non mi stavo muovendo!” piagnucolò il bambino.

“Si ma con quella faccia da scemo non puoi giocare, mi distrai! Non vedo gli altri!”

“Uffa…lo sapevo che facevo meglio ad andare a mangiare!”

 Laura si girò di nuovo e ricominciò a contare…

“Uuuuuuno….du..”

All’improvviso si sentì il rumore di qualcosa che sbatteva con violenza contro il muro dove Laura era appoggiata a contare.

La bambina si voltò di colpo e cercò con gli occhi l’oggetto che aveva provocato l’urto.

Vide qualcosa per terra e si avvicinò; in un secondo anche tutti gli altri si ritrovarono intorno all’oggetto non identificato.

“Gennaro ci ha tirato qualcosa?” chiese Sici spaventato.

“Dall’ottavo piano dell’altro palazzo, non ci arriva qui!” rispose Valentina.

Laura guardò con attenzione: “E’ un uccellino!”

“E’ vivo?” chiese Marta.

Laura lo sfiorò appena con il mignolo e l’uccellino si rimise sulle zampe…fece due passi e tentò di volare ma cadde di nuovo.

“Credo che abbia un’ala spezzata!” affermò Laura.

“Poverino!” disse Mattia “ Laura fai qualcosa, aiutalo!”

Laura non aveva la minima idea di come fare ad aiutare la povera bestiola, stava per annunciarlo al gruppo quando incrociò lo sguardo del fratello che sembrava sul punto di piangere.

“Dai Matti” disse cercando di ragionare in fretta “vai nel garage…prendi una scatola da scarpe e svuotala.. e prendi anche uno dei quei panni che mamma tiene lì per pulire ma non uno sporco mi raccomando!”

Mattia fece sì con la testa e corse verso le scale del box contento di essere utile a quel “piano di salvataggio”.

“Laura ma come fai a prenderlo? Se si muove….” Il dubbio di Valentina era condiviso da tutti gli atri.

“Provo!” Laura pregò che il loro piccolo amico non si spaventasse e che non la beccasse per difendersi dal pericolo.

Si avvicinò piano e allungò la mano lentamente per non innervosire il pennuto, ma questi si lasciò completamente andare al tocco delicato delle dita della ragazzina.

Si adagiò sul palmo delle sue mani senza mostrare alcun segno di combattività.

Laura guardò i piccoli occhi dell’animale che giaceva come se dormisse e realizzò la verità; era probabile che l’unica cosa che potessero fare era allungare la sua agonia.

In quel momento giunse Mattia trafelato per la corsa con in mano quello che lei gli aveva chiesto.

“Ecco!” disse madido di sudore e soddisfatto.

Laura lo guardò e non ebbe il coraggio. “Vieni Matti…metti il panno nella scatola e poi avvicinamela!”

Quando il bambino ebbe fatto, Laura adagiò l’uccellino che si lasciò andare nel cartone con la stessa arrendevolezza con cui si era lasciato prendere la prima volta.

“Ora aspettiamo che si riprenda ok?!” disse Laura rivolta agli altri.

Tutti annuirono, solo Sici mugugnò: “Sì va bene… ma per quanto? La pasta con le sarde…”

Tutti lo guardarono male e lui abbassò la testa, deluso dalla mancanza di comprensione e di appetito dei suoi amici.

“Forse dovremmo dargli un nome!” disse Marta.

“Mazzinga!” propose deciso Sici.

Altro sguardo di disapprovazione. “Ma secondo te ha la faccia da Mazzinga?” lo incalzò Valentina.

Sici alzò le spalle, rassegnato.

“Io pensavo a Cipì…come l’uccellino della storia!” propose Laura.

“Siiiiii!” approvò Mattia ricordandosi di colpo di cosa parlasse la sorella.

Rimasero lì altre due ore seduti in cerchio a giocare a carte e a “nomi, cose, città” con la scatola al centro per controllare il povero uccello, che non dava segni di ripresa.

Poi si spostarono verso il centro del cortile dove c’erano lo scivolo e le altalene.

Laura pensò attentamente a dove potessero lasciare la scatola per tenerla d’occhio ma senza fissarla, voleva che Mattia si distraesse.

La mise tra due cespugli sopra l’erba di modo che stesse all’ombra e raggiunse gli altri che si erano fiondati sui giochi.

Passavano da un divertimento all’altro con quella frenesia che solo l’infanzia possiede.

Ad un tratto si sentì la madre di Sici che lo chiamava a gran voce e il bambino, così contento che finalmente la sua pasta con le sarde lo reclamasse, corse d’istinto verso il balcone per avere conferma che, finalmente, era arrivato il momento di riempire lo stomaco.

Nella foga della corsa non si accorse che la scatola giaceva ancora all’ombra dei cespugli in direzione del palazzo, così che l’impatto con il suo piede fu inevitabile.

Ora, il povero uccellino era riverso sull’erba immobile.

Sici si portò la mano alla bocca e guardò ciò che aveva combinato con un espressione incredula.

Tutti si avvicinarono alla bestiola e Laura provò a toccarlo delicatamente ma.. nessun segnale di vita.

“Ma…è morto?” chiese Marta.

“Credo proprio di sì” disse Laura guardando Mattia ma intendeva che non c’erano dubbi.

“Sici…lo hai ammazzato…sei proprio un deficiente!” sbottò Valentina.

“Ma io…io ….non volevo…non l’ho visto!” si difese il bambino con le lacrime agli occhi.

Laura continuava a guardare il fratello che fissava l’uccellino con aria perplessa.

“Ma…mica per sempre?” la domanda sembrava frutto di una profonda riflessione.

“Cosa per sempre?” chiese Laura.

“Non è mica morto per sempre vero?”

Laura sospirò cosciente della bugia che stava per dire: “No…magari un giorno…” rispose.

Mattia sembrava soddisfatto della risposta, quasi sollevato.

Laura disse: “Dai andatevi a prendere un gelato…io vi raggiungo! Tieni i soldi Matti!”

Tutti si mossero tranne Sici, che rimaneva impalato a fissare la scena: “Dai Sici…vai a mangiare  che la pasta si raffredda…non ti preoccupare…lo sappiamo che non l’hai fatto apposta!” lo rincuorò la ragazzina.

Ancora non sapeva che, probabilmente, la sua maldestra goffaggine aveva compiuto un involontario atto di misericordia verso un esserino sofferente.

Ora c’era solo Laura, lei era la più grande del gruppo, era sempre stata intelligente, era lei a decidere nel gruppo quando c’era incertezza, era lei a badare a tutti, oltre che a sé stessa.

Prese il piccolo pennuto ormai senza vita, lo portò all’albero che stava al di là del cortile dove c’era il vecchio cancello rotto, scavò una buca abbastanza profonda con le mani e ve lo depose dentro.

Poi cercò un sasso appuntito e incise sul tronco: “CIPI’  16-07-1990”.

Rimase un attimo a guardare quella tomba improvvisata; pensò che oggi faceva davvero caldo.

In fondo, si sa, nel paese dei bambini non fa mai né troppo caldo né troppo freddo e non esiste la morte.

FINE

Ora aspetto i vostri racconti.

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Come scrivere del Covid?

30 Maggio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Non scrivendo del Covid. Non vi preoccupate, ora vi spiego.

Mi è capitato di vedere su alcuni gruppi di scrittori e lettori a cui sono iscritta, dei post dove le persone affermano che non leggerebbero mai un libro sul Covid, perché non vorrebbero mai rivivere questo periodo.

Lungi da me dire alle persone cosa leggere ma una cosa che posso fare è parlare agli scrittori: voi dovete scrivere del Coronavirus.

Lo so, il pubblico è sovrano ma, nel tempo, le cose cambieranno. Le persone vorranno leggere di qualcosa che hanno vissuto e i bambini che oggi hanno vissuto chiusi nelle case, inconsapevoli di ciò che stava accadendo fuori, vorranno sapere, conoscere.

Noi siamo sopravvissuti a una pandemia e siamo scrittori. Siamo la memoria delle generazioni future. Non hanno scritto delle guerre perché è triste? Non sono stati pubblicati libri sull’Olocausto perché era deprimente? Non scherziamo, ragazzi. Abbiamo l’opportunità di raccontare un’esperienza umana potente vissuta praticamente da tutto il mondo. Non abbiamo più Calvino, Sepulveda o Shakspeare per scriverne. Ci siamo noi e abbiamo il dovere morale di trasmettere la storia e la Storia.

Abbiamo già parlato di come, nel tempo, gli scrittori abbiano raccontato le epidemie e la malattia. Lo hanno fatto con ingegno, creatività, ognuno in modo diverso (perché come abbiamo già detto, la vera novità sta nel “come” si scrive, non nel “cosa”).

E poi, io credo che non si debba parlare necessariamente solo di dolore e morte quando si scrive del Covid o delle cose brutte in generale.

La vita è un pacchetto completo. Si scrive della morte per scrivere della vita, si scrive del dolore per scrivere della felicità. Siamo parte di una contorta quanto perfetta bilancia in cui tutto si completa. Sarebbe assurdo escluderne una parte. Ci saranno scrittori che ci faranno ridere e distrarre dalla vita reale. Ne abbiamo bisogno. E ci saranno quelli che ci faranno piangere e riflettere. E ne abbiamo bisogno in egual modo.

Non escludo poi che ci saranno scrittori che ci faranno ridere e piangere insieme. Io spero di riuscire a farlo, perché credo che la vita sia così. Come scrive Rilke:

“Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo lontano.“

In definitiva, io vi chiedo di scrivere del Covid senza scrivere del Covid. Cercate punti di vista nuovi, modi di rielaborare questa pandemia come una parte della vita umana. E avremo una testimonianza, la vostra narrazione di questo momento che stiamo vivendo.

Scrivete!

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Il passo in più

23 Maggio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Quando ho deciso di collaborare con una casa editrice cercando dei manoscritti inediti, ammetto che ho avuto i miei dubbi su come reperirli.

Pensavo che mi sarebbero piovuti addosso (metaforicamente) migliaia di inediti di qualunque genere, scritti in maniera indecente.

E ho dovuto ricredermi perché, benché il mio sia un piccolo scouting, ho ricevuto davvero del materiale valido e interessante. Qualcuno è chiaramente portato per inventare delle storie perché le trame sono appassionanti, qualcun’altro ha uno stile di scrittura veramente originale e poi ci sono quelli che hanno entrambe le cose.

Innanzitutto vi ringrazio, perché mi avete fatto ritrovare un po’ di fiducia nell’umanità, dopo averne persa parecchia leggendo post sui social.

Rimanga segretissimo tra noi: sto seguendo il progetto di una ragazza che mi sta mandando il suo inedito a puntate ed è una vera bomba. Spero che possiate leggerlo presto anche voi. Piccolo messaggio promozionale off topic.

Ci sono, comunque, due o tre consigli generali che vorrei darvi per fare quel passetto in più e migliorare i vostri manoscritti (perché tutto è migliorabile nella vita):

  • Non scrivete come parlate. Sento già le obiezioni; ma dà caratterizzazione al personaggi, è più veritiero, non tutti vogliono una lezione di grammatica… E’ vero. Il vostro personaggio parla molto rozzamente? Ok, nel dialogo potete riportare il suo linguaggio (senza esagerare, sennò poi diventa macchietta) ma dove non parla, tenete il tono del libro. Non fatevi trascinare. E’ vero anche che qualcuno scrive romanzi d’intrattenimento e non saggi di filosofia ma credetemi, scrivere in maniera semplice non significa scrivere sgrammaticato;
  • Non fidatevi del correttore automatico. O, almeno non solo di quello. Ricontrollate e rileggete sempre (ad alta voce, così sentirete anche quando il dialogo non funziona) e soprattutto, cercate sul dizionario o su Internet quando il correttore vi segnala qualcosa ma voi avete dei dubbi. A volte, i computer sbagliano.
  • Non giudicate chi sta leggendo. Innanzitutto non lo conoscete, per cui non ponetevi con un atteggiamento di saccenza assoluta che, comunque, urta in fase di lettura. E, credetemi, quando le persone vi leggeranno e voi leggerete i loro commenti, capirete molto di più anche voi. E diventerete scrittori migliori;
  • Siate lo scrittore, non il personaggio. E’ l’ultimo passo in più da fare. Per quanto la storia possa starvi a cuore o essere, addirittura, la vostra stessa storia, ricordatevi che voi dovete vedere l’insieme. Siete il regista, non gli attori. Quindi, con il magico potere conferito dalla revisione, togliete, aggiungete o correggete di modo che tutto fili. Non attaccatevi a delle cose che volete dire per forza, anche se nella narrazione non sono utili o intralciano.

Complimenti a tutti!

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Solo per oggi

16 Maggio 2020 by Silvia T. 2 commenti

“Volete scrivere un capolavoro e non sapete come fare? Volete mettere alla prova le vostre capacità creative ottenendo grandi risultati? Iscrivetevi subito al nostro corso di scrittura! Solo per oggi, il 50% di sconto!”

Vi è mai capitato di leggere annunci simili? Se la risposta è no, siete fortunati! Io, non so perché, essendo chiaramente per i social un profilo interessato alla scrittura e alla lettura, vengo letteralmente subissata di queste “favolose offerte lampo”!

La pubblicità è pubblicità e deve vendere e su questo non si discute ma, se avete cinque minuti, vi dirò perché questi annunci mi perplimono e non poco.

Innanzitutto, il tono. Il target di questi annunci non è lo stesso di quello di un supermercato o di un venditore di mobili. Non stiamo parlando di far comprare un dentifricio con il 3×2 o un divano (sì, mi sto chiaramente riferendo a quella famosa marca di divani che promuove un “solo per oggi” da che ho memoria). Un corso di scrittura vende delle capacità non i prosciutti. Quindi, il linguaggio (e noi sappiamo quanto le parole sono importanti!) è del tutto inadatto. E mi viene da pensare che chi non capisce questo, non possa insegnarvi a scrivere…

Ma la cosa peggiore e che mi fa anche abbastanza arrabbiare (devo essere onesta) è assicurare il risultato.

Io posso farti il miglior corso di scrittura del mondo, dell’universo e darti tutti gli strumenti per scrivere un buon libro ma, anche se tu lo frequenti, puoi sempre scrivere una schifezza.

Cos’è, soddisfatti o rimborsati? Non credo proprio si possa fare questa cosa con delle capacità.

Per cui vi dico, non credete a queste vane promesse di gloria, perché sono false! Non è che un corso di tre mesi vi possa trasformare in Italo Calvino… e, se vi state ponendo la domanda, non vi farà neanche scrivere il nuovo Harry Potter!

Se state cercando un corso di scrittura serio cercatene uno che sia effettivamente in grado di trasmettervi delle capacità.

Tra queste:

  • imparare a leggere. Non finirò mai di dirlo, un bravo scrittore è una persona che legge. E bene. Se fate vostra questa abilità, oltre al piacere di migliorare le vostre letture, scoprirete i passi avanti che può fare la vostra scrittura;
  • l’analisi dei testi e delle strutture di altri romanzi. Se qualcuno ha scritto dei capolavori veri, dei libri immortali, un motivo ci sarà? Non smettiamo mai d’imparare da loro;
  • mettersi in gioco. Quando io ho dovuto approcciare ad un corso di scrittura ho cercato qualcosa che avesse anche una parte pratica. In cui, insomma, si scriveva. E la prima volta che ho dovuto leggere il mio racconto di fronte a dei semisconosciuti era nervosa (tanto perché ci tenevo…tanto!) ma l’ho fatto. E questo mi ha insegnato quanto sia bello avere apprezzamento per i tuoi scritti e il valore enorme di una critica e di un confronto ben fatto.

E tutto questo, non è solo per oggi! Fidatevi (lo dico sempre, mi sento quasi una santona ormai!), dura per sempre.

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Manuale

Il self publishing

6 Maggio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Non c’è due senza tre e, se avete contato bene, manca solo lui all’appello: il self publishing. E’ tanto discusso, amato e odiato che, qualunque cosa dirò andrò contro qualcuno ma fa parte dell’essere sinceri. Partiamo dal presupposto che è un metodo relativamente “nuovo” per pubblicare e come tale può e continua a migliorare.

E, sinceramente, io non mi sento né di raccomandarvelo né di sconsigliarvelo a prescindere.

Se siete dei lettori fedeli, vi ricorderete che, all’inizio di questa fantastica guida intergalattica per scrittori emergenti, vi ho detto che uno scrittore deve prendere tante decisioni; non mi riferivo solo alla trama, alla copertina o alle cose da tagliare in fase di revisione. Significa anche decidere cosa fare del tuo libro una volta che è bello finito e impacchettato.

Per cui vi elencherò le ragioni per cui ho scelto di non autopubblicarmi:

  • era il mio primo romanzo, avevo un po’ paura di toppare, volevo avere delle opinioni da un professionista, un editor insomma;
  • tu sei Nessuno. Esatto, non ve la prendete. Un esordiente con il suo primo libro in mano è il Sig. Nessuno in persona. Quindi io, Sig. Nessuno, pubblico un libro, passato solo dal mio giudizio (e credetemi, c’è tanta gente che non sa scrivere che pensa di saperlo fare), nel mare magnum di Internet… sono praticamente una barchetta alla deriva. La quantità di fattore C che ti serve per essere trovato da un numero di lettori decente tra le milioni di autopubblicazioni che circolano, dovrebbe moltiplicarsi in maniera esponenziale! Essere trovati è praticamente impossibile senza qualcuno che punti il dito sul tuo libro. E questo ve lo confermo, perché negli ultimi mesi, sto scrivendo su una famosa piattaforma sotto pseudonimo e, ragazzi, non mi si fila nessuno. Per fortuna io lo stavo facendo un po’ per gioco, un po’ per provocazione. Vi dico solo che ragazzini che non sanno usare il verbo avere, su questa piattaforma scoppiano di follower. E la qualità? Traetene voi le conclusioni. Vi dico solo che, in questa quarantena, ho letto molti più post sui social di quanti avrei dovuto e mi sono profondamente avvilita. Neanche le basi dell’italiano…
  • volevo essere “scelta”. Vanità? Egocentrismo? Sì, probabile! Ma anche quel dubbio che penso serpeggi in tutte le menti umili: “e se avessi scritto una cagata pazzesca”?
  • “Un momento di chiarezza” è una storia particolare, non sapevo quanto le persone l’avrebbero ben accolta. La trama di fondo è, di fatto, banale. Devi leggerlo per scoprire le sue particolarità;
  • non volevo vendere il mio libro come una cassa di frutta;
  • ultimo ma non ultimissimo: le copertine dei libri autopubblicati sono veramente brutte! O hai la fortuna di avere un amico o un parente che bazzicano nel disegno o rischi di trovarti una copertina improponibile. E come abbiamo già detto, la copertina fa.

Questa è stata la mia scelta, quello che credevo essere meglio per il mio libro. Ora voi dovete fare quello che è meglio per il vostro. E non flagellatevi se le cose non vanno come avevate previsto.

Sappiate che, di fatto, l’autopubblicazione è una scommessa su voi stessi, come scrittori ma anche come “venditori”del proprio libro. Quindi, se decidete per questa opzione, preparatevi ad accontentarvi di una piccola fetta di pubblico, composta di amici e parenti o siate sfacciati.

Provateci davvero, con impegno! Rischiate!

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Manuale

Il crowdfunding in editoria

28 Aprile 2020 by Silvia T. Nessun commento

E su questo sono parecchio ferrata, perché io ho pubblicato con il crowdfunding.

Che cacchio è il crowdfunding? È quello che mi sono chiesta io all’inizio e quello che mi hanno chiesto tutti quando ho cominciato a praticarlo. Come una religione o un’arte marziale.

Allora, in sintesi, la storia è questa: la protagonista, io, aveva scritto un libro e lo aveva mandato a tutti quelli che pensavo potessero pubblicarlo. E da allora, aspettava con gli occhi verso l’infinito, un fantastico editore che arrivasse con il suo cavallo bianco e una proposta editoriale valida.

Sapete una cosa che le fiabe non raccontano mai? É che la principessa comincia a stufarsi e invecchia anche, ad un certo punto.

Beh, io non avrei mai potuto fare la principessa molto a lungo, non era nella mia natura. Dovevo fare qualcosa. Così sono scesa dalla torre e sono andata a un incontro dove parlavano di crowdfunding nell’editoria.

Di fatto, l’idea di crowdfunding è quella di raccogliere fondi dal normale compratore a piccole cifre per poter realizzare un progetto, di quasiasi tipo. Ci sono persone che lo usano per produrre documentari o allestire mostre o attivare una start up ma anche progetti sociali… Insomma se riesci a trovare abbastanza persone che credano nel tuo progetto e che ti finanziano con una piccola cifra, sei a cavallo. Non quello del principe… anche meglio.

Dopo aver partecipato a questa conferenza tenuta da quella che poi diventerà la mia casa editrice, mi sono detta: “Cavolo Silvia, può essere la tua occasione! In fondo devi vendere centocinquanta copie in prevendita… lo puoi fare!”

E qui avrei dovuto cominciare a preoccuparmi perché primo, io non parlo mai di me in terza persona e, secondo, non avevo nessuna percezione di quanto fosse difficile vendere dei libri in Italia!

E quindi in un misto di entusiasmo e disperazione, mi sono buttata in questa avventura. Ho mandato il mio manoscritto che ha passato tutte le selezioni e poi mi hanno aperto un canale sul loro sito per far preordinare il libro. Si poteva leggere un breve estratto.

Siamo partiti bene. Parenti, amici, clienti di mio padre e gente che conosceva gente hanno ordinato il libro. E poi, il blocco. Qualcuno mi prometteva di comprarlo ma non lo faceva, altri glissavano per non dirmi di no in faccia. Sono diventata sfacciata e petulante.

Sentivo che pregare qualcuno per un comprare un libro che ritenevo bello, anche se loro ancora non lo sapevano (ma non è così per tutti i libri nuovi?) era patetico. Io sono brava a scrivere, solo a scrivere. Perché non posso fare solo un atto di fiducia?

Quindici euro. Erano solo quindici euro. No, erano quindici euro per un libro. Mi sono scontrata contro l’Italia che non legge, che non spende i soldi per leggere.

Ho cominciato a pensare che non ce l’avrei fatta. E io avevo solo un colpo da sparare, non potevo permettermi di prendermi altro tempo per scrivere il libro numero due e riprovarci.

Avevo puntato tutto su quel numero ma la roulette era molto meno prevedibile del previsto.

E poi ce l’ho fatta. Vi ho già parlato della gioia di quel momento e non diventerò di nuovo sfacciata e petulante.

Ma il punto non è questo. É questo: il crowdfunding é una strada che vi consiglio di valutare, perché io sono riuscita a pubblicare. Credetemi però quando vi dico che è molto meno semplice di quanto si pensa e di quanto vogliano farvi credere.

Potete avere fortuna, certo. Il fattore è C è sempre una buona cosa ma potreste non averne, anzi.

Preparatevi e non abbattetevi mai durante il percorso. Nel periodo di crowdfunding siete tutto ciò che avete; credete in voi stessi e in quello che avete scritto. E fate… un atto di fiducia!

P.S. La bellissima foto di copertina è una scena della serie “Orange is the new black“

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Manuale

Essere “letti”

22 Aprile 2020 by Silvia T. Nessun commento

Legittimazione? Gloria? Soldi?

Fermatemi o aggiungete opinioni, visto che avete sicuramente capito dove voglio arrivare. Ci ho pensato molto questa settimana, dopo aver letto tutti i vostri commenti sulle case editrici a pagamento. Anzi, colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che si sono espressi argomentando per il sì o per il no.

Perché volete essere letti? Perché volete fare gli scrittori? Nessuno v’impedisce di scrivere per il vostro piacere, evitando lo sbattimento di cercare case editrici, pubblicazioni, evitare le fregature.

Mi vorrei soffermare sul caso italiano che non prevede la scrittura come lavoro regolarmente retribuito per evitare la risposta più ovvia: “voglio guadagnare facendo quello che mi piace”. Strada difficile ma possibile in altri paesi; in Italia, non percorribile (salvo rarissime eccezioni) . Insomma, lo sapete tutti che non ci camperete scrivendo, vero?

Come al solito vi dico la mia, altrimenti non sarei qui a tenere un blog ma mi piacerebbe molto sentire le vostre opinioni (sincere, mi raccomando! Non lo faccio certo per giudicarvi, ormai lo dovreste aver capito.)

Io lo faccio per egocentrismo. Insomma, scrivo perché mi piace (ho tante di quelle idee in testa che mi entusiasma l’idea di crearci una storia sopra) voglio pubblicare perché desidero essere letta da quante più persone possibili e capire che cosa arriva loro di quello che ho scritto.

Vedete, io non ho grandi talenti. Mi sarebbe piaciuto saper suonare uno strumento o avere attitudine per la scienza (ho sempre avuto una fascinazione per le donne scienziate, tanto è vero che la mia protagonista in “Un momento di chiarezza” è un chimico) ma non ero portata.

Quando ero piccola mi veniva così naturale scrivere i temi a scuola o i miei pensieri che non immaginavo neanche di poter avere una predisposizione, che fosse una cosa particolare.

Fu la mia maestra a dirmi che potevo avere un “dono” di qualche tipo e poi boh… ero una bambina “poco visibile” (un po’ per il mio colorito pallido, un po’ perché ero strana e introversa e poi sono diventata un’adolescente incasinata quindi…) Scrivere era il mio mezzo per farmi vedere dal mondo però non facevo leggere a nessuno quello che scrivevo. Controsenso? Ero giovane!

E poi mi sono liberata dalla mia bassa autostima e sapere che la gente leggeva quello che scrivevo era fichissimo!

“Un momento di chiarezza” è stato la mia gioia. Avevo scritto un libro. Cavolo, dovevo farlo leggere! Le opzioni erano due: o quello che avevo scritto poteva essere buono e sarebbe piaciuto o poteva fare schifo e avrei fatto un bel tonfo. Ma un tonfo epico! Valeva la pena tentare.

Conosco anche delle persone che scrivono e sono felici perché solo gli amici e i parenti potranno leggere i loro scritti. Valgono di meno? Scrivono peggio? No di certo.

Per questo vi dico sempre che le persone sono diverse e gli scrittori, beh… in un modo o nell’altro sono un po’ egocentrici, hanno bisogno di essere “visti” ma ognuno a modo suo.

Non mi piacciono i luoghi comuni, quindi non vi dirò che il mondo è bello perché è vario ma il mondo della scrittura ci guadagna sempre dalla diversità e dalla creatività, anche quella che non si vede tanto.

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