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Devo dire la mia

10 Marzo 2021 by Silvia T. Nessun commento

Questo non è un articolo politico ma di buonsenso.

Io capisco che vadano fatte delle scelte e poste delle restrizioni perché la gente non continui ad ammalarsi e a morire. E’ arrivato così il tempo del lockdown e poi i DPCM e poi ancora i colori. E non so come, siamo scivolati, infine, nelle sfumature.

Ammetto di aver avuto difficoltà a comprendere, nel periodo natalizio, dove potevo andare e quando. Ho sempre rispettato tutte le regole; non sono mai uscita durante il lockdown o fuori dagli orari previsti, sono stata in isolamento fiduciario a Capodanno perché ero venuta in contatto con un positivo, ora esco solo per andare a lavoro o per comprare qualcosa che mi serve. Tutto sempre con la mia bella mascherina che mi toglie il fiato (ho un problema di setto nasale deviato e questo mi fa respirare male). Io l’ho fatto, altri no.

E ora dovete permettermi di dire la mia, tanto la dirò lo stesso. La foto che vedete nell’articolo (scusate la bruttezza ma io non fotografo, scrivo di solito) è stata scattata mercoledì 10 marzo alle ore 8.45 all’uscita della linea rossa. Ma se andaste lunedì o martedì o giovedì, la situazione sarebbe la stessa. E, come potete vedere anche voi, è inaccettabile.

Le persone sedute sono distanziate dagli ormai tristemente famosi bollini “Non sederti qui” ma tutto il resto delle persone è ammassato. Non sono riuscita a scattare una foto all’interno perché avreste visto solo cappotti e giacconi tanto che erano vicine le persone intorno a me.

Ed è così che mi reco in ufficio ogni mattina ed è così che torno a casa ogni sera, dove resto dopo una lunga e stressante giornata di lavoro perché non posso andare da nessuna parte. Perché c’è il Covid e la gente sta male; lo so benissimo, probabilmente ce l’ho avuto anch’io durante la prima ondata, quando non erano ancora disponibili i tamponi. Non ho avuto bisogno di essere ricoverata ma vi assicuro che la sensazione di malessere fisico e di spossatezza che ho avuto mi ha fatto sentire come uno zombie per settimane.

Quindi non è un discorso da negazionista o da complottista (n.d.r. la Terra non è piatta) ma da persona che ragiona.

Ormai è un anno che questa pandemia è in corso e io non sono stata mai fermata a un tornello o altrove in metropolitana tranne che per il classico controllo del biglietto. Ho lavorato per tutto il tempo e nessuno mi ha mai controllata. E, ai tempi del primo lockdown, devo ammettere, le metro erano così vuote che non ce ne sarebbe stato bisogno.

Ma ora si ventila di nuovo l’ipotesi dei weekend “in rosso” e io mi domando: è una presa in giro? Per quelli che come me che prendono i mezzi pubblici, i treni, che lavorano ogni giorno perché non hanno lo smart working (ebbene sì, non sono tutti in smart working!), sembra davvero che sia così.

Non sarebbero meglio dei controlli per verificare distanziamento, igiene, rispetto degli orari e dell’obbligo d’indossare la mascherina costanti invece di bloccare tutto (economia compresa) due giorni a settimana per chissà quanto? E’ come mettere un cerottino su uno squarcio per cui ci vorrebbero dei punti.

Non mi sembra un’idea da premio Nobel eppure non ci arriviamo o non vogliamo arrivarci.

Scusate se utilizzo questo pulpito ma ritengo che, forse, le persone come me, che hanno la possibilità di esprimere delle opinioni senza urlare e insultare sui social, debbano stimolare una riflessione costruttiva. E’ l’unico modo per avere potere.

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Come scrivere del Covid?

30 Maggio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Non scrivendo del Covid. Non vi preoccupate, ora vi spiego.

Mi è capitato di vedere su alcuni gruppi di scrittori e lettori a cui sono iscritta, dei post dove le persone affermano che non leggerebbero mai un libro sul Covid, perché non vorrebbero mai rivivere questo periodo.

Lungi da me dire alle persone cosa leggere ma una cosa che posso fare è parlare agli scrittori: voi dovete scrivere del Coronavirus.

Lo so, il pubblico è sovrano ma, nel tempo, le cose cambieranno. Le persone vorranno leggere di qualcosa che hanno vissuto e i bambini che oggi hanno vissuto chiusi nelle case, inconsapevoli di ciò che stava accadendo fuori, vorranno sapere, conoscere.

Noi siamo sopravvissuti a una pandemia e siamo scrittori. Siamo la memoria delle generazioni future. Non hanno scritto delle guerre perché è triste? Non sono stati pubblicati libri sull’Olocausto perché era deprimente? Non scherziamo, ragazzi. Abbiamo l’opportunità di raccontare un’esperienza umana potente vissuta praticamente da tutto il mondo. Non abbiamo più Calvino, Sepulveda o Shakspeare per scriverne. Ci siamo noi e abbiamo il dovere morale di trasmettere la storia e la Storia.

Abbiamo già parlato di come, nel tempo, gli scrittori abbiano raccontato le epidemie e la malattia. Lo hanno fatto con ingegno, creatività, ognuno in modo diverso (perché come abbiamo già detto, la vera novità sta nel “come” si scrive, non nel “cosa”).

E poi, io credo che non si debba parlare necessariamente solo di dolore e morte quando si scrive del Covid o delle cose brutte in generale.

La vita è un pacchetto completo. Si scrive della morte per scrivere della vita, si scrive del dolore per scrivere della felicità. Siamo parte di una contorta quanto perfetta bilancia in cui tutto si completa. Sarebbe assurdo escluderne una parte. Ci saranno scrittori che ci faranno ridere e distrarre dalla vita reale. Ne abbiamo bisogno. E ci saranno quelli che ci faranno piangere e riflettere. E ne abbiamo bisogno in egual modo.

Non escludo poi che ci saranno scrittori che ci faranno ridere e piangere insieme. Io spero di riuscire a farlo, perché credo che la vita sia così. Come scrive Rilke:

“Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo lontano.“

In definitiva, io vi chiedo di scrivere del Covid senza scrivere del Covid. Cercate punti di vista nuovi, modi di rielaborare questa pandemia come una parte della vita umana. E avremo una testimonianza, la vostra narrazione di questo momento che stiamo vivendo.

Scrivete!

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We can be heroes

18 Marzo 2020 by Silvia T. Nessun commento

Oggi ho visto un po’ di numeri e ho capito che siamo tanti, così ho deciso di utilizzare questo post per veicolare un messaggio importante, che spero ci aiuti a combattere la malattia.

Sarò breve, anche perché sono un po’ malaticcia anch’ io (solo un raffreddore… niente di grave).

Mai avrei creduto di vivere una situazione del genere, forse qualche volta ho pensato a una guerra per tutte le tensioni politiche ma una pandemia, in un Paese industrializzato, non mi è mai passato per la testa. Noi abbiamo la Scienza dalla nostra e io credo nella Scienza.

Ma sapete in cos’altro credo? Credo che ci siamo ritrovati a far parte della Storia (quella grande) e della storia (quella più piccola che vita di tutti).

E possiamo essere i protagonisti della nostra storia. Gli eroi. Quelli che salvano gli altri. E non dobbiamo neanche maneggiare una spada per farlo! Ci basta non uscire di casa. E salveremo la vecchietta tanto carina che vediamo ogni giorno a passeggio con il marito, quando andiamo a lavoro. Salveremo quella coppia di ragazzi che si è appena trasferita nel nostro palazzo. Salveremo quel bambino che ci saluta, seduto nel carrello del supermercato.

Salveremo il mondo forse, chi lo sa.

E ci basta stare a casa. Quindi, non uscite. Restate in casa! Salvate il nonno, la madre, il nipote, la figlia di qualcuno…

Lo so, ve l’hanno detto tutti. Ma forse non vi hanno detto quanto importante sia il vostro gesto.

Quelli che combattono in primi linea, i medici, gli infermieri, i tecnici, quello che vi assicurano il cibo, quelli che puliscono (ebbene sì, ce li scordiamo sempre ma c’è qualcuno che li pulisce quegli ospedali pieni di malati), devono stare in trincea.

Ma noi possiamo aiutarli stando a casa. Noi possiamo essere eroi!

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