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Manuale

Il racconto: un’arte sottovalutata

15 Gennaio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Una volta lessi un post sulla mia pagina di Facebook; a quanto pare, era la giornata mondiale della lentezza. Per prima cosa ho pensato: ma tutti i giorni è la giornata mondiale di qualcosa? Poi ho pensato: sarà mondiale ma a Milano la lentezza è un’utopia. E poi l’ultimo pensiero, la vera idea: e se per un po’ vivessimo davvero tutti più lentamente? Che succederebbe? Ne è nato un racconto.

All’inizio, come molti, pensavo che il racconto fosse un genere minore. Il romanzo cavolo! Era quello a cui puntavo. Poi, dopo aver letto Buzzati, A.Munro, Richard Yates, Dorothy Parker e tanti altri, ho scoperto che avevo torto e ho capito che un vero scrittore è capace di scrivere un buon racconto. Ergo, non è così facile scrivere un racconto.

Quello che non tutti sapete è che, prima di avere questo bellissimo blog, ne ho avuto un altro altrettanto bello (ancora attivo) con due meravigliose amiche e scrittrici: Unastanzatuttapertre. Qui abbiamo raccolto tutta una serie di racconti brevi da noi scritti. Per quanto mi riguarda, l’importanza di questo progetto e la scrittura di racconti brevi è stata fondamentale per arrivare a scrivere un libro.

Ma come si scrive un racconto? Analizziamo i punti principali.

Lo spunto: può essere davvero qualunque cosa. E non sono troppo generica. L’ispirazione può arrivare da ciò che avete visto o sentito, da una persona che avete incontrato, da una vostra esperienza o da un sentimento che state vivendo o avete vissuto. Ma ne sto sicuramente dimenticando qualcuno.

Il racconto breve: si articola solitamente in poche pagine. Tre o quattro al massimo. In Unastanzatuttapertre, l’obiettivo era addirittura di stare in una pagina e mezza/due (sempre più difficile). Dovevano bastare cinque minuti a leggerli. E’ questa la caratteristica che dovete perseguire in un racconto breve. Due/tre pagine sono troppo poche per creare una trama di senso, un percorso di cambiamento plausibile per uno o più personaggi. Dovete immaginare il racconto breve come una fotografia, come un lampione che illumina una scena. E in quella scena, c’è la vostra storia. Per fare questo, mostrare e non descrivere (come abbiamo già visto) è necessario.

Il racconto lungo: solitamente (ma non obbligatoriamente) è tra le trenta e le sessanta pagine. Ovviamente, con più pagine, aumenta lo spazio di manovra. La storia si può comporre di più azioni, il percorso dei personaggi si allunga e le situazioni possono modificarsi (tutto nel limite del plausibile). State, però, molto attenti: non sbrodolate. Non finirò mai di scrivervelo. E’ vero, io sono un amante del poco ma buono ma ho davvero letto racconti lunghi che potevano tranquillamente diventare racconti brevi e ci avrebbero guadagnato.

Il finale: sempre una questione complicata. Nel racconto lungo, usate il principio del romanzo: sbizzarritevi. Ma mi raccomando, non tirate fuori il coniglio dal cappello. Se i conigli non vivono nei capelli un motivo ci sarà no? Per il racconto breve vi dico solo questo: una foto finisce? Non scrivete per arrivare al finale ma per lasciare un’immagine.

Quello che vi posso assicurare è che vi sarà utile scrivere racconti, vi darà un nuovo metro per valutare, la capacità di togliere il superfluo e, se riuscirete a mostrare e a scrivere un bel racconto, avrete vinto su tutta la linea.

Per correttezza, devo dirvi che è molto difficile che un esordiente riesca a pubblicare (con una casa editrice intendo) un racconto o una raccolta di racconti. E’ un genere meno diffuso, meno letto e quindi meno venduto.

Dall’altro lato, mi sento di fare una critica: ho letto racconti molto più belli e meglio scritti di romanzi (no, non vi dirò quali) o addirittura di trilogie (no, non vi dirò neanche questo).

Questo ci riporta alla mia considerazione iniziale: un bravo scrittore sa scrivere bene anche i racconti.

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Recensioni

Teresa

27 Novembre 2019 by Silvia T. Nessun commento

“Teresa ha perduto l’amore della sua vita, ed è disposta a tutto pur di non sentire più alcun dolore. La sola cosa che desidera è sotterrare il suo cuore in un fosso. Ma come? Decide di bussare alla porta di Donna Maria, misteriosa fattucchiera da sempre al centro di storie e credenze folkloristiche che hanno accompagnato Teresa fin da bambina. Le due donne stringeranno un patto dai risvolti oscuri, ma a interferire col piano arriverà Salvatore, amico d’infanzia da sempre follemente innamorato di Teresa. Comincia così un viaggio a ritroso dove ricordi del passato si fondono a elementi ritualistici del presente, dove il sogno e la realtà si confondono fino a un inaspettato scioglimento finale. Un racconto che è la presa di coscienza di una giovane donna attraverso il suo ostinato percorso di liberazione da limiti interni ed esterni, nella provincia di un piccolo paese di un sud Italia lontanissimo eppure sempre attuale.”

“La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati in altri progetti” (John Lennon). E questo accade a tutti prima o poi; ai più fortunati solo una volta. Perdere l’amore, come cantava Massimo Ranieri (per i più giovani, vi consiglio di ascoltarla su Youtube) è l’esperienza più universale del mondo. Tutti soffriamo nello stesso modo ma in modo diverso (così come tutti scriviamo delle stesse emozioni ma in maniera diversa).

Ed è quello che è successo a Teresa, la protagonista del nostro racconto (io lo definirei più un racconto lungo che un romanzo ma questo non lo sminuisce, anzi. Puntiamo sempre alla qualità e non alla quantità) e lei vorrebbe strapparsi il cuore, metterlo a tacere per sempre e smettere di soffrire. Lei non era “occupata in altri progetti”, il suo unico progetto era l’amore stesso.

E questa sofferenza avvolge tutto il racconto, anche in maniera fisica. Esplode durante il rito di Teresa e la rende vivida, attraverso le forme e i colori in cui è immersa la protagonista. Ma il mondo non si ferma perché hai il cuore spezzato (anche se, a mio parere dovrebbe, almeno per rispetto) ma la tua vita sì. E solo tu puoi farla ripartire.

L'”oggetto amato” sbiadisce a confronto con il dolore che ha provocato. Non ha ossa, non ha sangue. La sofferenza sì. Ed è così che la vediamo nel racconto. Un’entità vera e con una forza distruttiva reale (Donna Maria? Io la vedo così).

L’ambientazione nel Sud Italia tradizionalista (a volte anche troppo!), con il suo folklore e la sua passione, dona al racconto quel pizzico di magia che pervade anche l’aria in questo racconto.

In alcuni tratti, mi ricorda molto gli scrittori del realismo magico; se non sapete cos’è, leggete qualcosa di Marquez, della Allende o del buon Dino Buzzati (ad esempio i “Sessanta racconti“).

Mi congratulo con l’autrice per aver saputo trascinarci in questo mondo reale, immaginato e dipinto di emozioni.

Il finale mi è piaciuto, anche se, per un attimo, ho temuto che la storia prendesse un’altra strada, che non sarebbe stata altrettanto efficace.

Unica pecca: la costruzione del finale. Quando ci si muove su piani diversi (realtà e sogno, presente e passato ecc…), il passaggio da uno all’altro non deve essere necessariamente esplicito ma deve essere capito. Ho dovuto rileggere un paio di volte i passaggi per riannodare il filo.

Le parole per descriverlo: vivido e doloroso.

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