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Manuale

Il blocco dello scrittore

24 Marzo 2021 by Silvia T. 2 commenti

Sottotitolo: Il vero tormento dell’anima mia

Oggi devo fare il primo passo e lo farò con voi. Vedete, il blocco della scrittore è infimo, è come l’herpes. Lo prendi, ti passa e, se sei fortunato, non torna più. Ma sai sempre che c’è la possibilità che ricapiti, é dentro di te, é endemico della natura dello scrittore stesso.

Tutti hanno avuto un blocco dello scrittore almeno una volta. Anche chi ha solo scritto i suoi pensieri sul diario del mio mini pony o tweet di centoquaranta caratteri sui social. Tu dici: “Ho il blocco dello scrittore” E lui/lei risponde: “Ma sai che anch’io!” Certo, ovviamente ce l’hai.

Il blocco si compone di tre fasi:

– “Non scrivo da qualche giorno ma é ok, ho avuto tanto da fare”;

– “Dovrei riprendere in mano il mio libro, ormai sarà un paio di settimane che non scrivo”. Stai già mentendo sui tempi, in realtà si tratta almeno di più di un mese;

– cominci ad avere brividi e dolori in tutto il corpo e non é Covid. Il pensiero fisso é “Mio Dio, non scriverò mai più una riga”. É cominciata l’astinenza.

Il primo passo é ammettere di avere un problema ed é quello che io sto facendo con voi. Su quello che dovrebbe accadere dopo vi prego di prendere tutto con il beneficio del dubbio perché lo scopro io stessa con voi. Costruiamo insieme la soluzione del rebus.

Direi di entrare in contatto con persone che scrivono o potenzialmente creative; attraverso lo scambio con loro potrebbe rimettersi in moto la macchina, seguendo le sue vie misteriose.

L’altra cosa da fare assolutamente é scrivere. Lo so, sembra un controsenso ma scrivete qualcos’altro (tipo l’articolo di un blog? Sì anche!) : un post, un diario, la lista della spesa… Qualcosa, maledizione!

Ho capito perché lo chiamano blocco; la tua storia é lì, in qualche parte del tuo cervello, della tua anima, del tuo cuore e tu la vedi, é quello che devi scrivere e sai come farlo.

Ma c’è una serratura, una porta che non si apre… Basterebbe solo farla scattare in qualche modo e voilà. Bisogna solo trovare un accesso.

Ieri sera ero alla fermata della metro, aspettavo qualcuno e all’improvviso ero da un’altra parte. Ho rivisto la scena come se la stessi vivendo; la metro, la pioggia, la macchina che arrivava, il grigio del cielo di una primavera che tardava a esplodere. Quel misto di agitazione ed eccitazione che mi danzava dentro. E lui che arrivava per portarmi verso… No, niente spoiler. Diciamo solo che sono tornata a quel momento che noi scrittori definiamo un “incontro significativo”, ovvero quando il/la protagonista incontra qualcuno che cambierà il corso della storia.

A volte mi sento come la protagonista di uno di quei film indipendenti americani, uno di quelli che vanno al Sundance. Sono nel posto in cui sono ma non ci sono veramente. Sto scrivendo, sto rivivendo. Vorrei sedermi per strada e buttare giù sul foglio quello che mi passa per il cervello.

Io lo so perché sono bloccata: mi ha fatto tanto male e mi fa ancora male quello di cui devo scrivere. Ma è lui, so che questo è il mio nuovo libro, quello di cui devo scrivere. Lo so e lo sa anche lui. Sto venendo a prenderti.

Sì, è una minaccia.

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Manuale

Sono un cliché

23 Ottobre 2020 by Silvia T. Nessun commento

Ho passato tutta la vita a cercare di non diventarlo eppure eccomi qui ad ammetterlo: sono un cliché.

Sono una donna adulta di trentotto anni. Non sono sposata, non ho figli e e vivo da sola. Quella che i più (i meno svegli di solito) definiscono una “zitella”. Sono una donna adulta che ha un lavoro che non è una passione e una passione che non è un lavoro. Ho avuto grandi sogni che sono andati via via rimpicciolendosi…

Sono alla ricerca dell’amore? Direi proprio no. Come tutti i cliché, vivo nella paura di soffrire e quindi evito quello che potrebbe provocare dolore. E l’amore mi ha fatto soffrire, troppo. Mica sarò così cretina da rinfilarmici?

Una volta il cliché alla mia età era essere sposata con figli e mutuo ma i tempi cambiano e così anche i cliché e ora il testimone è passato alle donne come me: single (sempre le zitelle di cui sopra), che non bruciano i reggiseni ma che sono coscienti dei loro diritti, sporadicamente bevitrici, che vivono e si mantengono da sole. Vaghiamo tra confusione e silenzio, alla ricerca di qualcosa che ci scuota dal torpore della quotidianità.

Forti, audaci, indipendenti ma comunque un cliché. Non dobbiamo avere bisogno di nessuno, è nello statuto del nuveau cliché, dobbiamo cercare noi stesse ma non dobbiamo trovarci in luoghi troppo assurdi. Dobbiamo essere il nostro corso/libro/lifecoach di autoaiuto.

E da “io” sono già passata a un “noi” generico. Tornerò all’ io narrante e infatti, io mi porto il peso di un altro immenso cliché: la scrittrice fallita. Colei che vive nella bruciante sensazione di aver un talento che non può, non sa e forse non deve neanche utilizzare.

Ma non deve essere tutto negativo, sapete. Ho scoperto che, in fondo, essere un cliché non è così terribile come pensavo. Perché di grazia?

  • Se hai sempre pensato con la tua testa, hai preso le tue decisioni e pagato i tuoi conti, è così importante il risultato finale?
  • Rischiare non ti salva dal diventare un cliché ma ti salva dall’impazzire; come si può vivere nella costante certezza di non aver mai provato a fare niente?
  • Un cliché che sa di esserlo assume un grande potere.

E allora perché ce la stai menando con questo articolo? Me lo sono chiesta anch’io, che credete? Sono un cliché dotato di intelligenza e spirito critico. La risposta è: io ho sempre voluto essere un outsider.

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