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Pro-vax

28 Giugno 2021 by Silvia T. Nessun commento

Scrisse. Prima che la sommergessero di critiche e insulti le persone che non volevano che la Signorina “Nonsochisia” dicesse loro cosa pensare. Ma io non sono una dei Ferragnez o una Selvaggia Lucarelli; io non sono un “influenZer” e quindi posso essere una che vi racconta una storia senza pretese di verità assoluta, una scrittrice insomma.

Io sono una fiera pro-vax e domani è la mia volta, finalmente. Domani riceverò anch’io la mia prima dose di vaccino e sì, sono contenta, anche se domani chiuderò gli occhi per non guardare l’ago che entra nel braccio perché la mia soglia del dolore è praticamente inesistente.

E cosa vuoi? Una parata? Fiori lanciati in aria al tuo passaggio? Beh, sarebbe carino ma non è questo il punto.

Io sono pro-vax da prima che esistesse il Covid, quando le mie amiche con i bambini piccoli mi chiedevano se era giusto vaccinare i loro i figli. E io rispondevo che prima i bambini morivano con l’influenza e la febbre troppo alta, per cui sì, ora possiamo proteggerli (in minima parte purtroppo ma è così), proteggiamoli.

E se succedesse qualcosa? E’ la domanda che attanaglia il genere umano dalla notte dei tempi e non c’è risposta. Io non lo so, non sono onnisciente. E ogni corpo reagisce a modo suo ai vaccini e anche al Covid.

Quando è cominciata la pandemia, era preoccupata per i miei parenti, i miei genitori, i mei amici. E quando sono arrivati i vaccini, ero preoccupata per i miei parenti, i miei genitori, i miei amici. E lo ero ancora quando li hanno vaccinati. E domani, contro ogni probabilità statistica, il mio corpo potrebbe non reagire bene e potrei avere dei problemi. O, magari, succederà sul lungo termine. Ma quando coloravano le regioni con il pennarello, aprivano e chiudevano luoghi, confini e zone ad alto rischio di contagio, pensavo che fosse inutile. Il vaccino era la nostra migliore possibilità, la nostra unica possibilità per tornare a una vita normale.

La paura è naturale perché siamo umani e non sappiamo cosa succederà. Non lo so nessuno, nonostante quello che vanno raccontandovi in televisione e su Internet vari pofessoroni, con il piglio saccente di chi sa tutto. Nessuno sa tutto. Nessuno sapeva se gli antibiotici avrebbero funzionato eppure ora fanno parte della nostra routine medica. Se qualcuno non avesse provato per primo a fare la chemio, ora non potremmo neanche provare a salvare le persone dal cancro.

Tutti credono in qualcosa, io non credevo che sperare che andasse tutto bene facesse davvero andare tutto bene ma credo nella scienza. Per chi comprende il riferimento, io sono sempre stata Jack e non Locke. Eppure, anche la scienza richiede un atto di fede alla fine. Ci viene chiesto di credere che funzionerà, con tutti gli esperimenti e i test ma senza nessuna vera assicurazione.

Pensiamo un attimo da scrittori. Pirandello morì di polmonite, Jane Austen morì per il morbo di Addison e Kakfa, morì a soli quarantuno anni per la tubercolosi. Qualcuno oggi conosce persone morte di queste malattie? No, perché nel mondo industrializzato (e qui si potrebbe aprire un’intera parentesi sulla disparità delle cure tra Paesi ricchi e paesi poveri), oggi non esistono più. Pensate a quanti meravigliosi scrittori avremmo ancora avuto o a cosa avrebbero potuto ancora scrivere se avessero avuto la medicina di oggi.

Ora forse avremmo potuto avere ancora qui Louis Sepulveda se il Covid non se lo fosse portato via l’anno scorso. E così come lui, migliaia di anziani per cui non abbiamo potuto fare niente. Ma anche persone meno anziane e lo sappiamo.

E la peste? Che ha accompagnato la nostra letteratura per secoli e ha falciato così tante vite? Ormai il mio punto è chiaro.

Sì, domani è il mio turno e io sono contenta.

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I miei scrittori, le mie rockstar

19 Febbraio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Quando ero bambina, volevo fare la scrittrice. Pensavo che per farlo, avrei dovuto scrivere. Solo scrivere. Logico no? Scrittrice uguale scrivere. (In questo paragrafo la parola scrivere è ripetuta quattro volte, per rendere più efficace il concetto!)

Quando io ero bambina però, il mondo era diverso: non c’era Internet. O meglio, era una realtà agli albori. Pensate che ho avuto il mio primo cellulare a diciotto anni! Lo so, è strano pensarci adesso. Chi nasce in questi anni è già immerso nella tecnologia.

I libri che leggevo erano scritti da persone inarrivabili, spesso morti (leggevo molti classici), delle rockstar! Di molti non si sapeva quasi nulla, i dettagli della loro vita personale erano riservati. Spesso venivano fuori dopo la loro morte. Il successo era decretato dal fatto che il loro romanzo arrivasse o meno al pubblico. Eh sì, questo rimane sempre uguale…

Oggi non è più così; la maggior parte degli scrittori ha una pagina social, scrive per riviste o blog, si fa conoscere dal suo pubblico in altri modi, come persona.

Nel mio caso in particolare (pubblicazione con crowfounding) ho scoperto che uno scrittore deve avere competenze in marketing, statistica, grafica, social media e qualche base di economia. Con un po’ di duttilità, ne ho imparate alcune e altre le ho recuperate in giro.

Quindi scrittrice non vuole dire più solo scrivere? Certo! Ma c’è altro: il rapporto tra scrittore e lettore si fa più intenso. “Conoscere” diventa la parola chiave.

Solo cinque mesi fa ero davanti alla casa di Stephen King (che vedete nella foto)! Chi l’avrebbe mai immaginato quando ho letto “Carrie“! Questo perché tutti sanno dove abita Stephen King.

Una volta, una persona mi disse: “Hai scritto un libro? Ma hai fatto anche altro? Sì, perché prima devi diventare famosa e poi scrivere un libro”. Per quanto sia terribile sentirsela spiattellare in faccia con tanta sincerità, la considerazione è giusta: se fossi stata già famosa e, quindi, conosciuta, pubblicare un libro sarebbe stata una passeggiata.

Per me la verità sta nel mezzo, come al solito. Da piccola sconosciuta scrittrice esordiente, mi piace avere il feedback delle persone su quello che scrivo, mi piace che sappiano che sono una tizia molto comune con gli stessi problemi di tutti. (In fondo, uno scrittore, un po’ egocentrico lo è, altrimenti non potrebbe fare questo mestiere).

Ma ed è un grosso ma, c’è un limite: lo scrittore non deve essere influenzato dal pubblico prima ancora di scrivere. Le case editrici vorranno la mia testa ma la verità è: se volete scrivere qualcosa di buono, non dovete pensarlo per gli altri ma per voi stessi. Una volta scritto, deciderà il pubblico se gli piace o meno.

Il “ma” del pubblico è che i lettori non dovrebbero farsi influenzare dalla fama per comprare un libro. Dovrebbero decidere in base ai propri gusti e alla qualità di quello che leggono.

E’ difficile, lo so. Per entrambe le parti in gioco. Ma vuoi mettere l’orgoglio di cui ero piena ieri sera mentre il mio libro era su uno scaffale in attesa di essere comprato e letto? Io voglio che quante più persone lo leggano perché io “conosco” il mio libro, so che è vero e che mi piace.

Vi dirò… Sarebbe stato stupendo anche prendere un tè (e non piace!) con Jane Austen o un caffè con Marquez o andare a fare la spese con la Woolf o con la Allende. E potrei fare un elenco infinito. Probabilmente avrei preparato delle domande da fare loro e poi mi sarei bloccata come una ragazzina emozionata.

Che vi dicevo? Rockstar!

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Donne e Letteratura: un passo indietro?

29 Gennaio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Ebbene sì, ho deciso di parlarvi anch’io del famoso scivolone di Amadeus ma non lo farò come gli altri perché non sarebbe la sede adatta. Qui parliamo di libri, di scrittori e scrittrici. E così sarà anche stavolta.

Ma vi prego, per queste poche righe, lasciatemi fare un po’ di polemica perché, lo sapete, su questo blog mettiamo anche al bando pregiudizi e luoghi comuni che non ci piacciono proprio (almeno a me e, visto che scrivo io…).

Perché si presuppone che una donna bella/bellissima non sia anche intelligente e capace? Io conosco tante belle/bellissime donne con un gran cervello, creative, forti, organizzate ecc… E conosco belle donne con la profondità emotiva di una pozzanghera.

Il punto non è questo ovviamente. Nel momento in cui una donna viene valutata solo sul suo aspetto fisico anche in relazione ad altre capacità e competenze, sbagliamo alla grande. Misurereste l’altezza in chili?

E’ evidente che Amadeus ha fatto uscire, molto stupidamente devo ammettere, visto che con quello che lo paga la Rai poteva prepararsi due righe per presentare le sue “ragazze” (chi sono poi le Charlie’s Angels?): il criterio di selezione per andare a Sanremo è la bellezza. Puoi essere intelligente, sveglia, capace ma per andare a Sanremo conta che tu sia bella. Il segreto di Pulcinella è svelato.

Comunque, torniamo alla nostra materia: Letteratura. E’ incredibile pensarlo ora che andiamo nello spazio, dirigiamo multinazionali, veniamo elette Presidenti ma, c’è stato un tempo (buio, molto buio) in cui le donne non potevano scrivere alla luce del sole perché non erano uomini.

Nessuno riteneva le donne capaci di creare storie, poesie e di svolgere lavori di concetto. Molte non venivano neanche istruite, a che serviva? Il loro compito nella società era sposarsi, avere figli, prendersi cura della famiglia e dei loro uomini. Non potevano mica mettersi a scrivere. E sapete cosa hanno fatto le donne? Hanno scritto lo stesso. Ovviamente.

Si sono inventate pseudonimi e identità fantasma (maschili) solo per fare quello che amavano, anche se, forse, mai nessuno avrebbe saputo che quelle erano le loro opere. Penso a Jane Austen, che non riuscì mai a vedere il suo nome su un libro quand’era vita e mi fa molta tristezza. Era un genio delle letteratura a cui non è mai stato riconosciuto il valore che meritava. La stupidità umana può essere infinita…

Spostiamo un attimo il focus sui nostri giorni. Una volta ho partecipato a un incontro dove veniva analizzata la questione “letteratura femminile”. Già la sottocategoria mi sembrava assurda (per me la letteratura è una) ma, dopo la mia esperienza di pubblicazione, mi sono resa conto che qualcosa sul fondo c’è ancora.

Un pregiudizio che ci fa pensare che un libro scritto da una donna possa trattare solo un certo genere di argomenti: di norma, una bella storia romantica dove l’eroina cerca l’amore e poi, dopo mille ostacoli, lo conquista.

Spesso ero restia a rispondere alla domanda: “di che genere è il tuo libro?”. Questo perché, se dovessi mettere il mio libro su uno scaffale di una libreria, lo posizionerei tra i romanzi, ma chi l’ha letto sa benissimo che la mia non è la classica storia d’amore. Ma è quello che tutti pensano, soprattutto gli uomini.

Lo vedevo nel cambio d’espressione quando rispondevo: “è un romanzo”. Per non parlare poi, di quelli che mi dicevano apertamente che i romanzi non erano il loro genere.

E così si forma una divisione anche tra i lettori: statisticamente, i libri delle donne vengono letti più dalle donne (che poi siano le donne a leggere di più in Italia rispetto agli uomini è un altro dato).

Se avessi un euro per tutti quelli che mi hanno detto “se vuoi vendere tanto devi scrivere una bella storia d’amore, magari con i vampiri o qualche essere soprannaturale”, non dovrei più cercare lavoro.

E’ incredibile pensare questo soprattutto se allarghiamo la lente su scala mondiale. A livello internazionale, le tre saghe che hanno venduto di più, Harry Potter, Cinquanta sfumature di grigio e L’amica geniale, sono scritte da donne (dai, la Ferrante è una donna, si sa!).

Ora voglio parlare un attimo di me, della mia esperienza come lettrice. Io ho sempre letto uomini e donne, senza mai pormi il problema.

La prima grande eroina letteraria con cui sono venuta in contatto è la protagonista del primo libro che letto: Piccole donne. Un libro scritto da una donna che parla di donne.

Ero una bambina ma mi identificavo con Jo, per tanti motivi che ora non sto qui a spiegarvi. Mi sono molto stupita nel sapere, in seguito, che la Alcott fu molto criticata per il finale che aveva dato a questo personaggio.

Allerta spoiler! Alla fine Jo, dopo aver imperversato per pagine e pagine, affermando di “non essere fatta per il matrimonio”, si innamora e si sposa. Questa era vista come una discrepanza tra personaggio fino ad allora descritto e come un tradimento all’ideale femminista a cui il libro sembrava votato.

Quindi una scrittrice non può essere anche una moglie (è vero che poi Jo sposa un uomo intelligente che la supporta nel suo percorso e questo fa la differenza, secondo me)? E’ sempre il solito discorso. Una cosa esclude l’altra? Meg, che da subito vuole sposarsi e avere una famiglia e si ritrova a mandarla avanti in un mondo di uomini senza mezzi economici, è meno femminista di Jo?

Alla fine del romanzo Jo si sposa, è vero. Cambiando idea, è vero (come se non ne avessimo il diritto!). Ma pubblica il suo libro (e non si esclude che ne potrebbe pubblicare altri in futuro) e apre una scuola dove insegna a maschi e femmine senza distinzione. Se immagino la vita di Jo dopo la fine del romanzo, la vedo difficile e complicata, come quelle di tutte le persone che fanno molte cose contemporaneamente.

Le donne in letteratura non hanno mai fatto un passo indietro, anche quando la società glielo imponeva. Ora, grazie a loro, io posso pubblicare un libro con il mio nome in copertina. Non torniamo indietro.

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