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Manuale

Mia la storia, mio il finale

6 Novembre 2019 by Silvia T. Nessun commento

A questo punto, il mio manuale diventa un racconto. Su quale pianeta sono atterrata dopo il mio fantastico viaggio intergalattico?

Facciamo un passo indietro. Avevo il mio libro finito “Un momento di chiarezza”, il deposito in Siae era registrato e avevo fatto una bella lista delle case editrici a cui volevo inviare la mia opera prima.

Ci sono tutti i tasselli, vi ritrovate? Suppongo abbiate risposto di sì, per cui procediamo.

Ora entra in scena Italo Calvino, non lo scrittore, il premio. Come molti di voi sapranno, il premio Calvino è uno dei più importanti concorsi letterari italiani. Mi accorsi che rientravo al pelo nei termini di partecipazione, così ho pagato l’iscrizione (non una cifra esigua, per correttezza), ho stampato e rilegato le due copie del manoscritto richieste e sono corsa (corsa è un parolone, il pacco pesava un po’. Per fortuna la posta è sotto casa mia!) a spedire il tutto.

Ora, tutti sanno che sono in molti a partecipare a questo concorso e io non pensavo certo di vincere ma era un primo tentativo e, inoltre, avrei ricevuto una scheda di valutazione del romanzo.

Non voglio farvi trattenere il respiro: non ho vinto il premio Calvino. Ho avuto, però, la mia scheda di valutazione: alcune delle loro considerazioni le ho trovate interessanti e condivisibili, altre mi hanno fatto pensare “ma che libro hanno letto?”

Ho pianto per due giorni, forse tre. Lo so, ho detto che non speravo di vincere ma la delusione c’è sempre (forse, dentro di me, speravo di finire almeno nei menzionati).

Devo ammettere che in questo percorso che mi ha fatto arrivare alla pubblicazione ci sono state tante lacrime e tanti momenti di sconforto. Se avessi avuto un euro per ognuno di loro, non dovrei più cercare lavoro.

Non mi sono, comunque, persa d’animo. Spesso, quando parlo di questo periodo dico di aver avuto “una perseveranza che rasentava la follia”.
Un sabato mi sono trascinata in una copisteria dove ho fatto stampare e rilegare quindici manoscritti (anche qui, costo non esiguo) e ho cominciato il mio ciclo “domeniche d’autore”. Di fatto scrivevo lettere di presentazione, cercavo indirizzi e imbustavo (buste grandi, gialle).

Il giorno dopo mi recavo con il mio bel sacchettone a spedire tutte le mie buste, facendo impazzire la povera impiegata delle poste. Nel mentre, facevo lo stesso anche con le case editrici che volevano l’invio digitale.

Se penso che molti di quei bustoni e di quelle mail forse non sono mai state aperte… Inutile rammaricarsi ora.

Passarono tanti mesi senza nessuna risposta, troppi per la mia impazienza da “cavolo, e pubblicatelo!” Dopo un po’ ho cercato qualcosa che potesse distrarmi, mi sono iscritta a un corso di recitazione, ho ricominciato a leggere seriamente, frequentavo eventi e presentazioni.

E me lo ricordo bene il giorno che ha cambiato tutto. Ero da sola, al Wired Festival, ai giardini Indro Montanelli. Ero andata perché avevo sentito che questa nuova casa editrice, Bookabook, avrebbe tenuto un incontro lì.

In pratica, Bookabook funziona così: tu spedisci il tuo libro per una prima valutazione. Se l’esito è positivo, entro quindici giorni ti viene comunicato il passaggio alla seconda fase di selezione. Dopo altri quindici giorni, saprai se il tuo libro è idoneo alla pubblicazione oppure no.

Ma la parte complicata arriva dopo; se vieni ritenuto idoneo, procederanno alla pubblicazione del tuo libro, se e solo se, sarai riuscito a vendere in anteprima un numero di copie da loro stabilito (quando l’ho fatto io erano centocinquanta). Se ci riesci, il tuo libro verrà revisionato, impaginato, munito di copertina e venduto cartaceo o e-book sul loro sito, sui principali portali online e nelle librerie fisiche (la modalità di quest’ultima dipende, però, dal raggiungimento di un ulteriore numero di vendite). Per informazioni più dettagliate, potete scrivermi a info@nonprendeteappunti.it.

Nei tempi previsti, arrivò la lieta novella: il mio libro era stato scelto. Evviva! Ho pianto di nuovo, di gioia stavolta.

Vendere centocinquanta copie di un libro di cui c’erano solo una ventina di pagine online non era, però, così semplice e lo sapevo…

Ma diamine! Mia la storia, mio il finale. Non avrei provato a vendere centocinquanta copie, avrei venduto centocinquanta copie. Così come non avevo provato a scrivere un libro, avevo scritto un libro. Il mio romanzo avrebbe visto la luce (adoro queste metafore)!

E sono partita come una schiacciasassi, vedevo solo l’obiettivo. Dovevo impegnarmi ancora per raggiungerlo.

Non vi posso spiegare cosa ho provato il giorno che l’ho raggiunto. Vi posso raccontare però la storiella assurda (non poteva essere altrimenti, trattandosi di me) che c’è dietro.

Per tutta una serie di coincidenze, sapevo che ero vicina al traguardo ma non immaginavo che la Grande Vittoria si sarebbe materializzata nei minuti successivi. Sono andata a farmi una doccia ma, anche sotto l’acqua, sentivo il cellulare che continuava a squillare per i messaggi e le notifiche dei social.

Sono uscita dalla doccia, mi sono asciugata in fretta in furia e sono corsa (stavolta davvero!) a prendere il cellulare. Ed era lì, quel numero che avevo tanto sperato di vedere scritto. CENTOCINQUANTA.

E mi sembrava di essere Dario Fo che vinceva il Nobel con la macchina che accostava per comunicarglielo. Tutti lo sapevano, tranne me. Assurdo no? Assurdamente bello.

Piansi un’ultima volta. Il pianto migliore della mia vita.

 

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Manuale

Il gran finale con i fuochi d’artificio

2 Ottobre 2019 by Silvia T. Nessun commento

Lo so, siete emozionati; siete passati attraverso il cerchio di fuoco e ne siete usciti con un romanzo a cui manca solo il finale. E come lo concludiamo? Vi state ponendo un’ottima domanda.

Molti lettori guardano l’ultima frase per decidere se acquistare un libro, io stessa leggo l’ultima parola (ebbene sì, sono umana anch’io!) Se state scrivendo il nuovo Harry Potter è ovvio che la storia si concluderà con l’epica battaglia tra bene e male con i draghi e gli incantesimi, insomma tutto il necessario per chiudere un fantasy. Come lettrice, vi consiglio, se state scrivendo un giallo/thriller, di mettere un finale spiazzante. E’ bello pensare che l’assassino sia X mentre in realtà è Y.

Questo per dire che, ovviamente, ogni genere richiede un certo tipo di finale. Quale sia quello perfetto non è dato saperlo. Ed è giusto così, a mio parere. Scrivere è come la vita, non ci sono le coordinate esatte per arrivare in un punto ma decisioni sulle strade da intraprendere. E questa vi spetta; è la vostra storia, i vostri personaggi. Solo voi potete sapere come va a finire.

Il mio consiglio è di chiedervi se il finale che avete scritto riflette il cambiamento o il non cambiamento che volevate nei personaggi. Il finale di un romanzo deve avere un senso per la storia; se non è quello che avevate pensato all’inizio non preoccupatevi. Può capitare. Io l’ho cambiato, sono sempre rimasta in linea con quello che volevo in mente per la mia protagonista ma non immaginavo quel finale nello specifico.

Detto questo, la mano è vostra; se volete lasciare tutti a bocca aperta con dei fuochi speciali tutti vostri, sparate. E vedete che succede.

Piccolo aneddoto: dovevo scrivere solo il finale ma ero un po’ bloccata. Ovviamente, nel mentre, cercavo un lavoro perché non vivo scrivendo manuali di scrittura, come potrete immaginare. Mentre mi proponevo come segretaria, centralinista, data entry… (insomma ho fatto molte cose), ho deciso di scrivere un curriculum “narrato” per convincere i reclutatori che “scrivere era il mio mestiere”. L’ho mandato a un po’ di gente nel settore, abbastanza certa che non avrebbe riposto nessuno.

Un pomeriggio squilla il cellulare e dall’altra parte c’è la segretaria di un grosso editore che mi comunica che il suo capo vuole vedermi per un colloquio. Salto dal letto, non sono sicura di aver capito bene. Io? Sì, proprio io. Nei giorni successivi, comincia una preparazione che neanche il Royal Wedding: capelli, mani, vestiti, scarpe ecc… dovevo essere perfetta.

Mi presento il giorno del colloquio; la receptionist mi dice che dovrò aspettare un po’ perché con l’altra candidata sta andando per le lunghe. Non è buon segno; eppure riesco (dopo un’ora e un quarto di attesa) ad accedere all’Olimpo, o almeno, quello che pensavo fosse l’Olimpo. Innanzitutto il caro signor X ha una spocchia che non si può permettere. Mi chiede sprezzante come mai salto “di palo in frasca”. Io trattengo il respiro sulla risposta che mi passa per la testa e opto per un più diplomatico “avevo bisogno di lavorare” (vero, oltretutto).

E poi mi lancio in un’appassionata lode per la scrittura. Lui mi blocca, mi dice che, in realtà, sta cercando una segretaria di direzione. Balbetto “ma nel curriculum c’era scritto che volevo scrivere…” Viene fuori che né lui né la sua solerte segretaria avevano letto il mio curriculum. Prima di congedarmi nel mio enorme sconforto, dice l’unica cosa sensata di quella sera. Mi guarda e afferma con decisione: “Comunque, se vuole scrivere è adesso o mai più.”

Era adesso. Lo capirò dopo quel colloquio, un pianto per strada e tanta, tanta delusione.

Torno a casa, scrivo il mio finale. Lo scrivo perché sapevo qual è, già da tanto realizzo. Lo scrivo perché voglio dare una conclusione ai miei personaggi. Lo scrivo per rivalsa, contro tutti quelli che non ci credevano, anche se alcuni non lo avrebbero mai saputo.

Ma non siate tristi per me, il vostro manuale non finisce qui e (spoiler) la mia storia finisce bene.

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