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Manuale

Come scrivere del Covid?

30 Maggio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Non scrivendo del Covid. Non vi preoccupate, ora vi spiego.

Mi è capitato di vedere su alcuni gruppi di scrittori e lettori a cui sono iscritta, dei post dove le persone affermano che non leggerebbero mai un libro sul Covid, perché non vorrebbero mai rivivere questo periodo.

Lungi da me dire alle persone cosa leggere ma una cosa che posso fare è parlare agli scrittori: voi dovete scrivere del Coronavirus.

Lo so, il pubblico è sovrano ma, nel tempo, le cose cambieranno. Le persone vorranno leggere di qualcosa che hanno vissuto e i bambini che oggi hanno vissuto chiusi nelle case, inconsapevoli di ciò che stava accadendo fuori, vorranno sapere, conoscere.

Noi siamo sopravvissuti a una pandemia e siamo scrittori. Siamo la memoria delle generazioni future. Non hanno scritto delle guerre perché è triste? Non sono stati pubblicati libri sull’Olocausto perché era deprimente? Non scherziamo, ragazzi. Abbiamo l’opportunità di raccontare un’esperienza umana potente vissuta praticamente da tutto il mondo. Non abbiamo più Calvino, Sepulveda o Shakspeare per scriverne. Ci siamo noi e abbiamo il dovere morale di trasmettere la storia e la Storia.

Abbiamo già parlato di come, nel tempo, gli scrittori abbiano raccontato le epidemie e la malattia. Lo hanno fatto con ingegno, creatività, ognuno in modo diverso (perché come abbiamo già detto, la vera novità sta nel “come” si scrive, non nel “cosa”).

E poi, io credo che non si debba parlare necessariamente solo di dolore e morte quando si scrive del Covid o delle cose brutte in generale.

La vita è un pacchetto completo. Si scrive della morte per scrivere della vita, si scrive del dolore per scrivere della felicità. Siamo parte di una contorta quanto perfetta bilancia in cui tutto si completa. Sarebbe assurdo escluderne una parte. Ci saranno scrittori che ci faranno ridere e distrarre dalla vita reale. Ne abbiamo bisogno. E ci saranno quelli che ci faranno piangere e riflettere. E ne abbiamo bisogno in egual modo.

Non escludo poi che ci saranno scrittori che ci faranno ridere e piangere insieme. Io spero di riuscire a farlo, perché credo che la vita sia così. Come scrive Rilke:

“Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo lontano.“

In definitiva, io vi chiedo di scrivere del Covid senza scrivere del Covid. Cercate punti di vista nuovi, modi di rielaborare questa pandemia come una parte della vita umana. E avremo una testimonianza, la vostra narrazione di questo momento che stiamo vivendo.

Scrivete!

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Le epidemie letterarie

26 Febbraio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Stiamo entrando a far par parte della Storia. E, come tutti prima di noi, non ne siamo consapevoli. Nessuno ci crede ora ma, un giorno, qualcuno parlerà di questo 2020 e di quando la Cina e intere città di altre nazioni vennero paralizzate dal Coronavirus o, come lo definisce la scienza, dal virus Covid-19. Si ricorderanno di quelli che ci scherzavano sui social per sdrammatizzare e di chi, preso dal panico, ha saccheggiato i supermercati in cerca di viveri e di prodotti sterilizzanti.

Oltre che nei libri di storia, compariremo anche nelle storie di che le storie le racconta. Ebbene sì, noi scrittori di oggi o del futuro.

Non siamo sicuramente a quel punto ma mi vengono in mente tanti libri famosi che hanno avuto tra i protagonisti un’epidemia. Il cinema e la tv hanno saccheggiato l’argomento proprio come quelli che hanno svuotato i supermercati.

Ma torniamo alla letteratura. Sì, sto per fare il nome del romanzo tanto odiato da tutti i ragazzi delle scuole superiori: I promessi sposi.

Lo so, anch’io quando andavo a scuola non ne avevo capito la bellezza e l’unicità ma, fidatevi, se non lo avete già fatto, rileggetelo da adulti, senza essere costretti ad analizzare ogni personaggio e ogni passaggio e vi troverete tra le mani un capolavoro.

Manzoni, come molti , utilizza la peste come espediente letterario. Quando la nostra sopravvivenza è a rischio, le maschere cadono e ci riveliamo per quelli che siamo. Tutti i personaggi de “I Promessi Sposi” hanno bisogno di fare questo: confrontarsi con se stessi per scegliere la strada da percorrere. E, infatti, quando tutti i personaggi sono in pace, arriva la pioggia purificatrice che porta via i peccati del passato e la malattia.

Piccola aggiunta off topic: la scena della mamma di Cecilia che depone il corpo della figlioletta morta sul carro dei monatti è straordinaria; riesci quasi a vederla, per quanto sono vivide le parole con cui è descritta.

Un altro romanzo che usa l’epidemia come espediente narrativo è “Cecità” di Samarago. Un capolavoro terribile.

Quando l’epidemia di cecità (appunto) colpisce un parte della popolazione che viene ghettizzata perché non si conosce né la natura né i metodi di trasmissione del virus, la lotta alla sopravvivenza porta le persone a comportarsi nei modi più spregevoli.

La psiche umana debole di fronte all’epidemia, proprio come il corpo è vulnerabile alla malattia.

Per una mia sopravvivenza personale, devo credere che l’umanità non arriverebbe mai a tanto ma, se devo essere sincera, non potrei metterci la mano sul fuoco.

E l’ultimo romanzo è il “Decameron“. Qui la peste viene utilizzata per raggruppare invece di dividere. Vi ricordate quando vi dicevo che, a volte, banalmente, uno scrittore ha la necessità narrativa di mettere dei personaggi insieme in uno stesso luogo?

Boccaccio usa la peste nera per bloccare dieci giovani fuori Firenze e far sì che per passare il tempo (non c’era Netflix ai tempi), questi si raccontino quelle che poi sono diventate le famose novelle.

E ora, una mia piccola considerazione. Io ho seguito la vicenda senza farmi prendere dal panico (non ho mai ritenuto utile fasciarmi la testa prima di rompermela) ma capisco la paura e trovo che i media e soprattutto, i social media, stiano diffondendo un terrore inutile. Sono state messe in atto le misure per evitare un ulteriore contagio. Non serve fare una situazione aggiornata minuto per minuto, riprendendo anche notizie non verificate pur di dire qualcosa.

E per concludere, oggi ho aperto la mia pagina Facebook e nella home c’erano circa venti articoli sul Coronavirus ma, a me, l’occhio è cascato sul post di Save di Children che sta combattendo contro la polmonite in Africa, che uccide ogni anno non so quante persone, tra cui molti bambini.

Quindi, il mio unico appello è: non fatevi prendere dal panico. Non prendete per buono tutto quello che vi viene detto ma ragionate sulle cose con la vostra testa (ma questo sempre!). E, cavolo, lavatevi queste mani! E’ una buona norma igienica SEMPRE!

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La crisi della vocazione

5 Febbraio 2020 by Silvia T. Nessun commento

Un paio di settimane fa una persona molto intelligente e che stimo molto mi ha chiesto: “Ma sei sicura che la scrittura sia una passione e non solo uno sfizio?” La domanda nasceva dal fatto che, a parte i post di questo blog, la mia produzione letteraria in questi mesi è stata davvero scarsa e caotica.

Il mio primo istinto sarebbe stato risponderle: “Ma come si permette? Lei non sa…” E infatti, lei non sapeva. Cioè, conosceva i fatti e le avevo descritto le sensazioni ma lei non sapeva. Semplicemente perché lei non è me e ognuno vive le cose a modo suo.

E poi ho pensato: “E se avesse ragione?” Di certo non avrei usato la parola “sfizio” (sembra che si parli di un dolce a fine pasto) ma il dubbio mi ha sfiorato il cervello. Non ho risposto niente e chi mi conosce sa che io rispondo, sempre.

E scommetto che è capitato o capiterà anche a voi. Dire di voler fare lo scrittore è un po’ come annunciare di partire per trovare il Santo Graal; magari ci credono anche che vai per il mondo ma di sicuro non pensano che lo troverai! E, vista la situazione italiana, non hanno così torto.

E da quella domanda in poi, giorni di agonia. Forse sono un bluff? Grandi idee per una persona che si sente piccola e vuole essere speciale? Ammetto che in questo periodo, non riesco a rispondere a nessuna domanda su me stessa, anzi sono in grado di mettere punti di domanda anche dove non erano previsti. Lo sapete, sono sincera con voi.

Cari scrittori, a volte siamo noi i peggiori nemici di noi stessi. Visto come viene svalutato il nostro lavoro, un po’ la capisco ma se non crediamo in noi stessi, nessun altro ci crederà.

Ci basta così poco per mettere tutto in discussione. Una frase, un articolo, un ex compagno di classe che vende 40.000 copie del suo libro in un anno. Difficile tenere salda la propria fede. E’ normale dubitare.

Sapete come ho risolto il dilemma interiore? Scrivendo. E ho pensato: ma cosa ne parliamo a fare? Qual era il dubbio? Se risolvo le cose scrivendo, il problema non si pone neanche; scrivere per me non è solo “uno sfizio”. E quell’agonia seguita alla domanda è frutto del fatto che stavo mettendo un dubbio il muro portante della mia identità.

Vi rivelo che avrei sempre voluto fare qualcosa per il mondo, come essere la prima donna italiana sulla Luna, aprire un orfanotrofio in India o trovare una cura per il cancro. Ho una profonda ammirazione per il team di italiane che ha isolato il coronavirus. Ma io so solo scrivere, quindi l’unico contributo che posso dare al mondo è raccontare storie. Io sono una cantastorie e non permetto a nessuno di metterlo in discussione.

Era questa la risposta che dovevo darle e dovremmo ripeterlo anche a noi stessi, perché non c’è qualcuno che viene in giro con noi tutto il tempo ricordandoci che senza scrivere non possiamo vivere. Possiamo farlo solo noi.

Quindi, che aspettate? Andate a scrivere! Ad maiora!

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