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Recensioni•Uncategorized

Barbie. Il Mondo è femmina?

17 Agosto 2023 by Silvia T. Nessun commento

“Femmina come la terra
Femmina come la guerra
Femmina come la pace
Femmina come la croce
Femmina come la voce
Femmina come la sorte
Femmina come la morte
Femmina come la vita
Femmina come l’entrata
Femmina come l’uscita
Femmina come le carte”

Così cantava Ligabue ne “Il giorno dei giorni”, come a sottolineare che tutte le cose significative nella vita sono definite da sostantivi di genere femminile.

E ora passiamo all'”affaire Barbie”, che è quello per cui siamo qui riuniti e, soprattutto, cerchiamo di capire le ragioni di un successo a mio parere eccessivo ma anche comprensibile.

Ho visto il film e devo ammettere che mi ha spiazzato. In primis, mi aspettavo di più della regista Greta Gerwig, che ha più volte dimostrato di avere una visione originale e una mano esperta al comando.

La storia comincia nel meraviglioso mondo rosa di Barbieland, dove tutto procede felicemente sotto il governo “illuminato” del genere femminile e dove, una meravigliosa Margot Robbie, incarna perfettamente Barbie Stereotipo. Ma pink is not the new black e i problemi del “Mondo Reale” cominciano ad affiorare.

Nonostante la prima parte scorra molto piacevolmente, con dei contenuti importanti snocciolati con semplicità e attraverso divertenti metafore, il secondo tempo rovina tutto il lavoro precedente. Lasciando cadere il discorso della trama su cui sicuramente si poteva fare di meglio ma che, tuttavia, doveva essere solo lo scheletro di una materia più corposa e complessa, i dialoghi risultano scontati e anche poco divertenti. Lo stesso discorso di America Ferrara, che dovrebbe il punto cruciale di tutta la tematica donna/uomo, sembra un minestrone di concetti già espressi e anche meglio in altre opere.

E ora sto per scrivere qualcosa che mi sembra di aver colto solo io e che riesce a farmi scorgere quasi un messaggio antifemminista (certamente non voluto) in Barbie.

Nel mondo dove sono le Barbie (metafora del genere femminile) al potere, dove non sono solo astronaute, architetti, giudici, primari di medicina ma hanno davvero la possibilità di produrre un cambiamento di valore nella società, come trattano i Ken? Esattamente come nella società maschilista viene trattata la donna.

Le Barbie non combattono la discriminazione, ne creano una nuova verso il genere maschile. E qui è il punto debole e il fallimento della Barbiecrazia. Il sesso biologico prevale sull’essere persone, ognuna diversa da un’altra (tra l’altro, anche il sostantivo “persona” è di genere femminile).

E riprendo qualcosa che già andavo scrivendo (quindicenne prolificamente creativa) sui temi quando andavo a scuola, incompresa da chiunque tranne che dalla mia insegnate, che mi premiava con voti alti: le donne non devono comportarsi come gli uomini per avere pari diritti e doveri. Le donne devono avere il diritto di essere donne (e sì, gli uomini e le donne sono diversi, ammettiamolo!) nella società, senza nascondere nulla e senza forzarsi ad agire diversamente da come la pensano, per ottenere più credibilità. Questa sarà la vera vittoria quando accadrà.

E a cosa servono allora i Ken? Qual è la risposta alla domanda che si pongono nei primi dieci minuti di film e a cui non riescono ad approdare? E qui potrei aprire una pagina poco edificante sui “maschi” incontrati nel corso della mia vita ma non lo farò. Vi darò, invece, quella risposta che nel film s’intravede solo da lontano: i Ken servono come tutte le altre persone. Ce ne sarà qualcuno più utile di un altro, proprio come tra le donne. Siamo tutte persone e, nel bene o nel male, ognuno di noi si porta dietro un valore aggiunto.

In sintesi, cara Barbie, finché non sarai in grado d’integrare nel tuo Barbie World anche chi è diverso da te, sarai sempre “dentro la scatola”.

Un pò di considerazioni sparse:

  • onore al merito alla Mattel che si mette in gioco (sperando sicuramente in un ritorno d’immagine che è andato ben oltre le aspettative), facendo un mea culpa sia sulla creazione di una bambola completamente stereotipata (ma perfettamente in linea con i tempi che ne hanno visto la nascita), sia su tutta una serie di tentativi di porre rimedio alla cosa, sfornando una quantità di altre Barbie politically correct che lasciavano il tempo che trovavano;
  • Ryan Gosling si rivela la scelta perfetta per la parte di Ken; la mancanza di espressività non fa rimpiangere quella del bambolotto originale, nato (e vorrei ricordarlo) come “il fidanzato di Barbie”;
  • devo ritrovare la villa di Barbie che avevo da piccola e che, tra poco, potrebbe valere parecchio nel mercato dei giocattoli vintage e, male che vada, è pur sempre una proprietà immobiliare esente IMU come prima casa e potrebbe tornare utile;
  • Barbie Strana, qui ti devo fare delle scuse; anch’io ho tagliato capelli, pasticciato e immerso in vasche di sapone ingenue bambole come te, senza conoscerne le conseguenze. E, comunque, Barbie Strana sembra l’unica davvero sul pezzo nel film!

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Manuale

Quando uno scrittore emergente è emerso?

25 Gennaio 2021 by Silvia T. 4 commenti

L’altro giorno, su uno dei tanti gruppi di scrittori e lettori di cui faccio parte, compare questa domanda: “Quando uno scrittore emergente può considerarsi emerso?”

Prima di tutto, onore al merito a chi ha fatto pubblicamente la domanda che ogni scrittore si pone ma mai a voce alta. Noi come tanti piccoli sommergibili a filo d’acqua stiamo lì nell’attesa di mostrarci in tutta la nostra gloria. Ma quando potremmo fare la nostra comparsa con la sicurezza di avere una buona copertura di fuoco che ci protegga?

Proverò a rispondere alla domanda anche se, come abbiamo ormai compreso, non esistono formule matematiche da applicare quando si tratta di creatività e di lavori creativi.

Innanzitutto, parliamo del mercato italiano e non di quello americano che è impostato su altre logiche e su figure diverse e che considera scrivere un vero e proprio mestiere, cosa che invece non accade in Italia.

Io ridurrei a tre i requisiti per salire al trono degli emersi:

  • un contratto con una buona casa editrice o con un agente letterario:
  • un buon numero di copie vendute;
  • un nome riconoscibile.

Un contratto con una buona casa editrice è importante perché ci garantisce continuità nel nostro lavoro. Se alle nostre spalle c’è un marchio editoriale che investe su di noi e ottiene un buon risultato da questo investimento, è normale che la collaborazione non si fermerà a un solo progetto. Saranno disposti a rischiare ancora su di noi, portando il lettore ad avere fiducia nello scrittore e nei suoi successivi lavori.

Il numero di copie vendute. La parte numerica, forse la più veniale ma vendere è un requisito fondamentale per emergere (e anche per restare a galla successivamente). Parliamoci chiaramente; io ho elencato tre requisiti ma, in realtà, le cose sono tutte interconnesse. Trovare un buon editore pronto a metterci la faccia (il marchio) e un buon progetto di promozione ti aiuterà a vendere più copie e a crearti un “nome”. Alla fine, però, la casa editrice guarderà il suo profitto per cui, banalmente, sarà il numero delle copie a decretare un successo o un fallimento. E qui entra in gioco tutta la soggettività di noi poveri scribacchini; magari abbiamo venduto le nostre belle 100-150 copie e siamo superfieri di aver portato a termine una missione impossibile. E poi realizziamo che nel mercato editoriale, quei numeri non vengono neanche considerati. Per una casa editrice, con quelle vendite, non siamo fonte di reddito e non ci faranno un contratto opzionando la nostra seconda opera. Io resto sempre una di voi per cui lo so cosa avete provato quando lo avete capito.

Avere un nome riconoscibile. E qui può essere inteso in molti modi ma l’importante è che, dopo aver pubblicato, non si continui a essere un perfetto sconosciuto. Per ovviare a questo requisito, molte case editrici decidono di puntare su nomi già affermati, anche non nel campo della letteratura e far scrivere loro testi di vario genere. Sul risultato, preferisco non esprimermi.

Prendete tutto quello che vi dico con il beneficio del dubbio, primo perché niente è scritto sulla Bibbia dello scrittore e tutto è fonte di spunti riflessivi su cui spero di confrontarmi con voi e secondo, perché io non sono emersa. Sì, ho tirato la testa fuori dall’acqua come una piccola tartarughina ma non sono riuscita a uscirne completamente.

Quindi rimango lì a nuotare allegramente appena sotto l’acqua, aspettando il momento migliore per uscire. Mmmm… così sembro molto lo squalo!

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Manuale

La costruzione di un successo: L’amica geniale

4 Marzo 2020 by Silvia T. Nessun commento

Oggi faremo una cosa un po’ diversa, perché secondo me può aiutarvi. Analizziamo un libro, anzi una quadrilogia, che sappiamo aver avuto successo in Italia e nel Mondo: “L’amica geniale” di Elena Ferrante.

Io l’ho letto alcuni anni fa perché tutti ne parlavano e volevo capire il perché. In fondo, era davvero da parecchio che un romanzo italiano non s’imponeva sulla scena letteraria mondiale.

Questo succedeva prima della serie tv, quindi eravamo ancora un passetto indietro rispetto a dove siamo oggi.

Per i pochi che non conoscessero ancora la trama de “L’amica geniale” e i vari seguiti la storia è più o meno questa (non voglio spoilerare niente): Lenù (Elena) e Raffaella (Lila) sono due bambine nate in un rione di Napoli nel primo dopoguerra. Insieme affronteranno tutte le tappe della vita, sullo sfondo di cinquant’anni di storia italiana.

La mia opinione: i libri sono molto belli. Ho trovato il terzo “Storia di chi fugge e di chi resta” il più lento tra i tre (poteva essere più corto) ma la scrittura è impeccabile e la storia si fa leggere.

Come ha fatto a ottenere tutto questo consenso? Io ora vi dico la mia ma mi piacerebbe sentire anche la vostra opinione in merito.

La storia dell’amicizia tra le due bambine, poi ragazze e poi donne, che poteva scadere in luoghi comuni, si tinge invece di sfumature nuove, indagando nei sentimenti più profondi (anche cattivi) delle protagoniste. La Ferrante non ha paura di rendere Elena, una delle sue protagoniste, nonché voce narrante dell’intera storia, una persona un po’ antipatica, a dire il vero.

E anche Lila, che vive di estremi senza curarsi di niente e di nessuno non è sicuramente un esempio di bontà e virtù.

Eppure questo le rende vere. Vere perché Elena è insicura e invidiosa di Lila ma riesce a fare di questi sentimenti negativi la forza per uscire da una realtà a cui sembrerebbe condannata; vere perché Lila è volgare, tiene un pugno tutti con il suo umore instabile ma è coraggiosa, non ha paura neanche della malavita del rione.

E ora lui, l’altro personaggio di questi libri: “il Rione”, un’entità a sé stante in un Italia che sta affrontando tanti cambiamenti. Il Rione no. Rimane immobile, fossilizzato nelle tradizioni che l’hanno sempre governato. I ricchi comandano sui poveri. I malavitosi comandano su tutto.

Inoltre, sullo sfondo (e poi una delle protagoniste ne verrà toccata direttamente), c’è un’Italia che cambia e che cresce mentre Lenu’ e Lila cambiano e crescono. Questo parallelo è potente, si sente nella narrazione.

Ricapitolando: protagoniste reali, luoghi caratteristici, sfondo sociale interessante. Questi sono i motivi che fanno de “L’amica geniale” un successo mondiale; in più, il “mistero Ferrante” che ancora tiene banco è stata una bella mossa.

In un momento in cui tutti appaiono anche se non hanno niente da dire, lei/lui (ma secondo me è lei), decide di rimanere invisibile. Quale miglior invito a leggere le sue opere?

E poi, diciamolo, perché nella vita ma forse nell’editoria ancora di più, ci vuole c**o e forse “L’amica geniale” lo ha avuto. Stavano cercando questo tipo di libro e lui si trovava nel punto giusto al momento giusto.

Devo dire, inoltre, che anche la serie tv mi ha lasciato soddisfatta. Per quanto giovani, le protagoniste rispecchiano le caratteristiche del libro, la storia è fedele e i luoghi, cavolo, i luoghi sono proprio come me li ero immaginati nella mia testa.

E voi? Avete letto i libri? Attendo opinioni.

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